ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 11 aprile 2018

«Il rompiballe», Max Pisu e Claudio Batta in un classico di Veber

Prosegue al cinema teatro Manzoni di Busto Arsiziol’omaggio alle coppie da palcoscenico, uno dei due temi guida, insieme con la riflessione sul mondo femminile, della stagione «Mettiamo in circolo la cultura», che vede alla direzione artistica Maria Ricucci dell’agenzia «InTeatro» di Opera (Milano).
Dopo Lorella Cuccarini e Giampiero Ingrassia, Gianfranco Jannuzzo e Debora Caprioglio, Valentina Lodovini e Ivano Marescotti, la sala di via Calatafimi aprirà le porte, nell’ambito della stagione cittadina «BA Teatro», a due volti noti e apprezzati della comicità italiana: Max Pisu e Claudio Batta.
I due attori e cabarettisti saranno protagonisti nella serata di venerdì 13 aprile, alle ore 21, dello spettacolo «Il rompiballe» di Francis Veber, apprezzato drammaturgo, sceneggiatore, regista e scrittore di Neuilly-sur-Seine, definito dalla critica il «Neil Simon francese», che il pubblico conosce soprattutto per lo script del film «Il vizietto», diretto da Edouard Molinaro e interpretato da Ugo Tognazzi, e per la commedia demenziale «La cena dei cretini», diventata un cult dopo essere approdata sul grande schermo nel 1998.
A firmare la regia della commedia , la cui traduzione in italiano è firmata da Filippo Ottoni, sarà Marco Rampoldi, che torna con questo testo in teatro, dopo il successo di lavori come «Nudi e crudi» e «Neurone innamorato», avventurandosi nel territorio della «farsa moderna», con l’assistenza di Paola Ornati.
Sul palco, con Max Pisu e Claudio Batta, saliranno alcuni fondamentali compagni d’avventura come Claudio Moneta, Stefania Pepe, Roberta Petrozzi e Giorgio Verduci. Le scene sono state ideate dal dal tre volte premio Ubu (e scenografo degli ultimi capolavori di Luca Ronconi) Marco Rossi e da Mattia Bordoni; i costumi sono stati realizzati da Francesca Faini.
La storia ha una tipica comicità alla francese, paradossale e briosa: in due camere d’albergo adiacenti si trovano Ralf Milan (Claudio Batta), un abile e meticoloso killer che esegue omicidi su commissione per conto della malavita, e François Pignon (Max Pisu), un fotografo «rompiballe» con tendenze suicide, un imbranato e instancabile pasticcione. Entrambi aspettano la comparsa sul balcone del palazzo di fronte di un uomo politico, che sta per fare rivelazioni sconvolgenti. Incaricato di uccidere il politico, il cecchino finirà per rimanere incastrato suo malgrado in un balletto frenetico di mogli esasperate, amanti aggressivi, cameriere impiccione e poliziotti maldestri.
Lo spettacolo finisce così per rivelarsi -a detta della produzione, l'associazione culturale CaNoRa- «veloce, agile, divertente e con un (falso) finale thriller», anche e soprattutto grazie al rapporto, complice e affiatato, tra i due protagonisti, che si scambiano continuamente le parti di vittima e carnefice in un gioco di ribaltamenti, che arriva alle dinamiche delle comiche del muto e che dà vita a un crescendo di divertimento.
Ciò che mi piace di questo spettacolo, oltre alla comicità un po’ paradossale tipica del francesi, -spiega il legnanese Max Pisu- è il fatto che sia io che Claudio abbiamo potuto modellare i personaggi a modo nostro, cucirceli addosso come meglio credevamo. Il mio Pignon, quindi, è un tipo tenero e pacioso come me, che si avvale di una comicità che è anche molto fisica. Mi ci rivedo molto, in questo personaggio, ed è anche per questo che continuo a interpretarlo molto volentieri».
All’insegna delle risate sarà anche l’ultimo appuntamento della stagione «Mettiamo in circolo la cultura» fissato per venerdì 4 maggio, alle ore 21, quando a salire sul palcoscenico del cinema teatro Manzoni sarà «Freddy Aggiustatutto» di Lorenzo Riopi e Tobia Rossi, testo vincitore della quinta edizione del concorso «Una commedia in cerca d'autori», con il quale la sala di via Calatafimi prosegue la propria collaborazione con «La Bilancia Produzioni» (società che gestisce i teatri Martinitt di Milano e de’ Servi di Roma) nella ricerca di talentuosi drammaturghi under 40 che diano nuovo vigore a un genere, quale quello del teatro brillante, che fa parte della nostra storia. Lo spettacolo, per la regia di Roberto Marafante, offre una fotografia spietata e cinica del mondo televisivo, emblema della superficialità e della manipolazione, raccontando la storia di Freddy, un ragazzo ipocondriaco e ingenuo, che, sul piccolo schermo, si trasforma in un macho palestrato disponibile ad aiutare casalinghe disperate.
Il costo del biglietto per la commedia «Il rompiballe» è fissato ad € 33,00 per la poltronissima, € 30,00 (intero) o € 27,00 (ridotto) per la poltrona, € 28,00 (intero) o € 25,00 (ridotto) per la galleria. Le riduzioni sono previste per studenti, over 65 e per gruppi (Cral, scuole, biblioteche e associazioni) composti da minimo dieci persone. Il diritto di prevendita è di euro 1,00.
Il botteghino del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio è aperto per la prevendita con i seguenti orari: dal lunedì al sabato, dalle ore 17 alle ore 19. I biglietti sono comodamente acquistabili anche on-line, tramite il circuito Crea Informatica, sui siti www.cinemateatromanzoni.it e www.webtic.it.
Per maggiori informazioni sulla programmazione della sala è possibile contattare il numero 339.7559644 o lo 0331.677961 (negli orari di apertura del botteghino e in orario serale, dalle ore 20.30 alle ore 21.30, tranne il martedì) o scrivere all’indirizzo info@cinemateatromanzoni.it.

Informazioni utili
www.cinemateatromanzoni.it 

lunedì 9 aprile 2018

«Art Around», le gallerie italiane hanno la loro guida on-line

Le gallerie italiane hanno, finalmente, una loro guida on-line. Si tratta di «Art Around - The Italian Gallery Guide», piattaforma nata da un'idea di Cristiana Campanini, giornalista esperta d’arte e design, che vanta collaborazioni con «Abitare», «Arte» e «La Repubblica». L'obiettivo di questo progetto, consultabile su www.artaround.info, è quello di raccontare e valorizzare l'attività delle gallerie italiane, veri e propri centri culturali che ospitano non solo la grande arte storicizzata dei maestri, ma che oggi sono di fatto anche laboratori creativi di innovazione e sperimentazione all'avanguardia.
Il sito si presenta come un grande archivio curato e geolocalizzato, consultabile sia da pc che da smartphone e tablet, che permette ricerche trasversali a vari livelli. A oggi conta un database di oltre trecentosessanta gallerie e circa duemila mostre, raccolte in tre anni su tutto il panorama italiano, disseminate su circa cinquanta città. Ciascuna galleria ha una propria scheda, una breve storia e tutti i dettagli per facilitarne la visita, magari combinata a quella di altre mostre e altre gallerie. Ogni appuntamento è accompagnato da un breve testo ed è illustrato da una ricca raccolta d’immagini, con una speciale attenzione alle installation views.
Al primo sguardo www.artaround.info è un’agenda che offre una scansione cronologica degli appuntamenti («Prossimamente», «Inaugurazioni», «Mostre in corso», «Ultima Occasione»). Allo stesso modo però è un atlante che ci restituisce il mondo delle mostre in galleria attraverso una divisione geografica. E per ciascuna sede o appuntamento, la piattaforma suggerisce anche ciò che accade nelle vicinanze, nel raggio di un chilometro e mezzo, in altre gallerie.
Per approfondimenti o ricerche mirate, si possono anche seguire percorsi per artista (inserendo nome e cognome dell’autore) oppure circoscrivere la selezione a un target specifico (Maestri», Giovani», ecc.). Si può procedere anche inseguendo semplicemente una tecnica («Pittura», «Scultura», «Collage», «Fotografia», ecc.) oppure circoscrivendo una più ampia area d’interesse (Moderna, Contemporanea, Architettura e Design, ecc.). Tra le altre curiosità c’è una ricerca che punta addirittura sui materiali («Vetro», «Ceramica», «Marmo», ecc).
Così mappati, gli eventi delineano un paesaggio nuovo, una scena complessiva, una fiera permanente e in progress, che trattiene in sé la straordinaria ricchezza e la varietà dei percorsi individuali delle gallerie italiane, dall’arte moderna e dai grandi maestri sino alla pura sperimentazione e ai giovani. L’esperienza del sito mira a solleticare la curiosità del collezionista esperto, ma anche a offrire un panorama ampio all'appassionato e accompagnare i primi passi del neofita.
L’idea è di suggerire al visitatore una visita reale in galleria, raccontandone i programmi ma anche le sedi: altrettanto inaspettate, segrete e spettacolari - da ex spazi industriali a magazzini, da ex cinema a sale affrescate di antichi palazzi – le gallerie come luoghi da scoprire quasi mai rientrano nei percorsi classici di una città, anche se da sole a volte potrebbero valere una visita.
«Credo nel valore degli archivi -spiega Cristiana Campanini, ideatrice del progetto- e credo che l'universo delle gallerie italiane delinei un museo diffuso che attende di essere valorizzato. Ogni mese da oltre 10 anni raccolgo i materiali digitali di tutte le mostre in galleria per le mie ricerche giornalistiche, un materiale che ogni mese veniva cestinato dopo una spunta di una decina di eventi. Tre anni fa ho deciso che avrei dovuto trovare il modo per non disperdere la memoria di quelle ricerche, introvabili se non frammentate per città. E per valorizzarle ho capito presto che sarebbe stato necessario sistematizzarle e condividerle, rendendole disponibili in un grande archivio delle gallerie italiane, www.artaround.info».

Informazioni utili 
www.artaround.info

giovedì 5 aprile 2018

Gino Rossi, un artista «contro»

Sessant’anni fa moriva, nel Manicomio di Sant'Artemio a Treviso, Gino Rossi (Venezia, 1884 – Treviso, 1947), artista tra i più interessanti dell’avanguardia veneziana che, nei primi anni del Novecento, trovò il suo centro lavorativo in quel luogo di grande innovazione artistica che fu Ca’ Pesaro tra il 1908 e i primi anni Venti.
In occasione dell’anniversario, la regione natale dell’artista, Il Veneto, propone, in questi giorni, ben due mostre che ne raccontano la parabola creativa, dando il meritato rilievo al suo bel catalogo produttivo che, stando a quanto stilato negli anni Settanta dal Menegazzi, allinea poco più di un centinaio di pezzi, alcuni dei quali dipinti recto-verso verosimilmente per ragioni di economia del supporto, che quasi sempre era cartone.
Nino Barbantini, storico direttore di Ca’ Pesaro, ebbe a ricordare, a tal proposito, che Gino Rossi riuscì a dipingere per pochi anni soltanto, ed è noto che una parte non trascurabile di quanto da lui creato finì distrutta o dispersa, per effetto delle sue vicissitudini personali e familiari.
Ci troviamo, dunque, di fronte a un «artista raro», per usare le parole di Marco Goldin, che ne cura l’omaggio in corso a Treviso, negli spazi del Museo Luigi Bailo, che già ha in collezione una decina di opere del pittore veneziano. Qui, in contemporanea con la grande retrospettiva che la città dedica ad Auguste Rodin, sono esposte diciotto tele dell’artista, uno dei più aggiornati del suo tempo sulla grande pittura figurativa europea, secondo una lezione che proviene dalla poetica cubista e da quella dei Fauves, oltre che dall’esperienza pittorica di Paul Gauguin.
Documenta bene questo tratto distintivo di Gino Rossi anche la mostra veneziana negli spazi della Galleria internazionale d’arte moderna di Ca’ Pesaro, organizzata in collaborazione con Barcor17, che si avvale della curatela di Luca Massimo Barbero ed Elisabetta Barisoni.
L’esposizione, allestita al secondo piano del museo, allinea nello specifico un prezioso nucleo di dipinti dell’artista, acquisiti con intelligenza e conservati con grande passione dalla Fondazione Cariverona, da tempo è impegnata nella promozione e nella valorizzazione del proprio patrimonio artistico.
È, dunque, grazie a un soggiorno a Parigi insieme all’amico e collega Arturo Martini, risalente al 1907, che Gino Rossi, pittore nato a Venezia da una famiglia benestante, si accosta al milieu artistico e culturale della Francia di inizio Novecento. Lì l’artista, che ha studiato tra Fiesole e Venezia, entra in contatto con alcune delle più importanti esperienze artistiche del tempo, che contribuiscono a formare la sua poetica con sguardo internazionale e cosmopolita.
Sulle orme di Paul Gauguin, il pittore veneziano si reca anche in Bretagna nel 1909; nascono così opere connotate da un temperamento forte e da vibranti interpretazioni personali. Si inizia a vedere in questi lavori di Gino Rossi anche un’eco cezanniana che emergerà soprattutto nelle nature morte, ma anche in taluni ritratti, della sua seconda fase artistica.
Il ritorno a Venezia avviene in un periodo in cui Nino Barbantini, appena diventato, a soli 23 anni, direttore della Galleria d’arte moderna e al contempo Segretario della neonata Opera Bevilacqua La Masa, comincia a promuovere la sede di Ca’ Pesaro come un luogo aperto alle tendenze più recenti dell’arte italiana, secondo una visione antiaccademica e antitetica alle prime edizioni dell’Esposizione Internazionale d’arte ai Giardini.
Fin dalla prima mostra, allestita nel 1908, risulta evidente quanto l’arte moderna italiana sia davvero nata tra le pareti del museo veneziano, o quanto meno ne abbia avuto piena espressione in un momento in cui doveva ancora svilupparsi, a livello nazionale, un più articolata rete dedicata alle nuove tendenze.
Tra i primi partecipanti alle mostre capesarine ci sono artisti come Felice Casorati, Umberto Boccioni, Pio Semeghini, Arturo Martini, cui si aggiunge, nel 1910, anche Gino Rossi.
 Attraverso i suoi potenti ritratti degli ultimi e dei reietti, o con la sublimazione del colore nei paesaggi onirici della laguna veneta, l’artista emerge ben presto per il suo violento e irreversibile abbandono dell’accademismo e il ritorno ad un’espressività originaria, quasi arcaica.
La forma è per lui elemento «antigrazioso», lontano dalla leziosità di tanta arte dei primi anni del Novecento, in aperta contrapposizione con l’estetica decadente di molti suoi contemporanei. Sono gli anni in cui l’isola di Burano diventa per Gino Rossi la sua Bretagna, luogo ideale ma assolutamente non idilliaco dove passa lunghi soggiorni e dove si trasferisce anche a vivere, nel disagio e nella scomodità più assoluta.
Appartiene a questo periodo uno dei lavori più belli esposti a Treviso: «Case a Burano», un olio su cartone di medio formato, risalente al 1910, che fu tra i tre quadri portati dall’artista all’esposizione di Ca’ Pesaro dello stesso anno, insieme con «La fanciulla del fiore» e «Il muto» (1910), anch’esso presente al Museo Luigi Bailo.
La ritrattistica, come documenta quest’ultimo quadro, si concentra sugli umili, sugli individui ai margini della società. Rossi sceglie, tra l’altro, come protagonisti i pescatori o le loro mogli, cogliendo con pennellata energica e materica lo spirito di ogni figura ed esasperandone i tratti più duri, imperfetti ed esteticamente spiacevoli. Tra i ritratti esposti a Ca’ Pesaro troviamo «Bruto» (1913) uno dei migliori esempi dell’attenzione dell’artista verso i poveri e gli emarginati. Le pennellate forti scavano i tratti del volto, esaltando i segni di una vita difficile resa in tutta la sua crudezza.
Questo ritratto è messo a confronto con la scultura «Buffone» (1913-14) di Arturo Martini, compagno di strada dell’artista nell’essere «contro» l’arte accademica. Si tratta di un grande busto in gesso dipinto che esplicita, in un gioco di rimandi estetici, la grande affinità tra questi due artisti e le similitudini nelle loro ricerche.
Rossi sa, infatti, dare plasticità alle sue opere, dando loro un’illusoria tridimensionalità, come nel caso della bella «Testa di creola» (1913), esposta a Treviso.
L'artista si dimostra, inoltre, differente sai suoi contemporanei anche nella ritrattistica femminile. Le aristocratiche e le borghesi che fecero la fortuna di un altro italiano che molto deve alla Francia, Boldini, lasciano il posto qui a popolane, spesso madri, vestite di scuro e con abiti semplici, distanti anni luce dalle donne sofisticate fin de siècle. Ne danno un ottimo esempio le opere «Ritratto di Signora» (1914) e «Maternità» (1913), esposte a Ca’ Pesaro, a raffronto con «Le Signorine» (1912) di Felice Casorati, tela che racconta, invece, di giovani figlie della borghesia, riprese in un luogo ricco di simboli e riferimenti alla loro vita e alla loro condizione sociale.
In Rossi si percepisce un’impronta espressionista, che abbandona la piacevolezza estetica concentrandosi sulla crudezza. La sua ritrattistica è, a tutti gli effetti, la risposta polemica al decadentismo floreale che troverà la sua conclusione solo con la Prima guerra mondiale.
Anche i paesaggi sono improntati ad un forte espressionismo, e risultano fortemente influenzati dai primi soggiorni in Bretagna: «Douarnenez» (1912) e «Paesaggio nordico» (1911), entrambe esposte a Venezia, e «Primavera in Bretagna» (1909 circa) e «Cittadella bretone in riva al mare» (1910), in mostra a Treviso, risalgono proprio a quel periodo e segnano l’inizio di un approccio che porterà l’artista a un nuovo vedutismo, ancora una volta in contrapposizione con le esperienze artistiche contemporanee.
Il soggetto prediletto, così come per molti suoi colleghi capesarini, è l’isola di Burano: lontana dal fasto decadente del centro storico, la piccola isola è un rifugio e un’inesauribile fonte di ispirazione.
«Barene a Burano» (1912-13) presenta al pubblico della mostra veneziana lo sguardo di Gino Rossi su questo ambiente primitivo ed ancestrale in cui uomo e natura si integrano in un legame indissolubile.
Uno sguardo sulla bellezza della Laguna lo offre anche la rassegna di Treviso con opere come «San Francesco nel deserto» (1912-1913), con le sue macchie di varie tonalità di verde dal segno rapido e stilizzato.
Nelle opere degli anni Dieci, il colore assume per Rossi un significato profondo che non si limita alla sola trasposizione della realtà: i blu, i verdi, i toni caldi dei suoi paesaggi sono in netto contrasto con i toni scuri dei ritratti. Il non-finito diventa mezzo di espressione costante e permette ai vuoti e ai pieni di bilanciarsi, lasciando quel senso di precarietà e di sospensione, tipico dei grandi artisti nella fase più matura.
L’esperienza della Prima guerra mondiale segna per sempre Gino Rossi: i lavori dopo il 1918 sono più articolati e strutturati, incentrati su forme e volumi che riprendono la lezione di Cézanne. Lo dimostrano diversi bozzetti su carta e linoleumgrafie esposti a Venezia, nei quali si nota un avvicinamento allo studio della composizione. È il caso di «Studio per natura morta con violino e pipa» (1922), un disegno a gessetti colorati, e di «Poemetto della sera» (1923), una scena bucolica con animali al chiaro di luna, un senso di quiete precaria in cui il colore si fa più rarefatto e le forme diventano schematiche e archetipiche.
L’esperienza della guerra combattuta al fronte e la prigionia segnano, però, Gino Rossi anche sul piano personale, conducendolo verso l’abisso della malattia mentale.
Nel 1926, dopo solo venti anni di produzione, l’artista viene internato nel manicomio di Sant’Artemio a Treviso: non dipingerà mai più e morirà nel 1947, lasciando una grande incognita su come la sua ricerca artistica avrebbe potuto proseguire, su quali altre importanti pagine avrebbe potuto lasciare Rossi alla storia dell’arte, se il buio dell’anima e degli occhi non lo avesse inghiottito per sempre.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Gino Rossi, Burano, 1912-1914. Olio su cartone, cm 42 x 57,5. Collezione Fondazione Cariverona. ©Archivio Fotografico Fondazione Cariverona; [fig. 2] Gino Rossi, Burano, 1912-1914. Olio su cartone, cm 42 x 57,5, Collezione Fondazione Cariverona. ©Archivio Fotografico Fondazione Cariverona; [fig. 3] Gino Rossi, Maternità, 1913. Olio su cartone, cm 72x64. Fondazione Musei Civici di Venezia, Ca' Pesaro - Galleria Internazionale d'Arte Moderna. ©Archivio fotografico - Fondazione Musei Civici di Venezia; [fig. 4] Gino Rossi, Pescatore Buranese, 1913 ca. Olio su tavola, cm 46x32. Fondazione Musei Civici di Venezia, Ca' Pesaro - Galleria Internazionale d'Arte Moderna. ©Archivio fotografico - Fondazione Musei Civici di Venezia; [fig. 5] Gino Rossi, Paese sul Montello, 1913 circa, olio su cartone, cm 46,5 x 55, collezione privata. © Giuseppe Dall'Arche; [fig. 6] Gino Rossi, Testa di creola, 1913 olio su cartone, cm 35, 8 x 35, collezione privata; [fig. 7] Gino Rossi, San Francesco nel deserto, 1912, olio su cartone, cm 45 x 72, collezione privata. © Giuseppe Dall'Arche; [fig. 8] Gino Rossi, Composizione, 1923-1925. Olio su cartone, cm 40,4 x 61. Collezione Fondazione Cariverona. ©Archivio Fotografico Fondazione Cariverona

Informazioni utili
Omaggio a Gino Rossi. Museo Luigi Bailo, Borgo Cavour, 24 - Treviso. Orari di apertura: da lunedì a giovedì, ore 9-18; da venerdì a domenica, ore 9-19. Ingresso: intero € 6,00, ridotto € 4,00 (gruppi o esibendo il biglietto della mostra Rodin. Un grande scultore al tempo di Monet), ingresso gratuito per le scuole. Informazioni:  info@museicivicitreviso.it. Sito internet: www.lineadombra.it. Fino al 3 giugno 2018

Gino Rossi a Venezia. Ca’ Pesaro - Galleria Internazionale d’Arte Moderna - Venezia. Orari: ore 10.00 – 17.00 fino al 31 marzo, ore 10.00 – 18.00 dal 1 aprile (la biglietteria chiude un’ora prima), chiuso il lunedì. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 7,50 (Ragazzi da 6 a 14 anni; studenti da 15 ai 25 anni; accompagnatori (max. 2) di gruppi di ragazzi o studenti; cittadini over 65; personale del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (MiBACT); titolari di Carta Rolling Venice; titolari di ISIC – International Student Identity Card; soci di TRA Treviso Ricerca Arte), ridotto scuole € 4,00; gratuito per residenti e nati nel Comune di Venezia; bambini da 0 a 5 anni; portatori di handicap con accompagnatore; guide turistiche abilitate e interpreti turistici che accompagnino gruppi o visitatori individuali, per ogni gruppo di almeno 15 persone, 1 ingresso gratuito (solo con prenotazione); docenti accompagnatori di gruppi scolastici, fino ad un massimo di 2 per gruppo; membri ICOM; titolari AMACI Card; partner ordinari MUVE; volontari del Servizio Civile; possessori MUVE Friend Card, Possessori di The Cultivist card (più tre accompagnatori); soci dell’associazione “Amici dei Musei e Monumenti Veneziani”; possessori di Art Pass Venice Foundation.Informazioni: info@fmcvenezia.it, call center 848082000 (dall’Italia), +3904142730892 (dall’estero). Sito internet: www.capesaro.visitmuve.it. Fino al 20 maggio 2018

mercoledì 28 marzo 2018

Da Amelia a Montone, arte e cibo nei borghi dell’Umbria

Terra di arte e spiritualità, ma anche di prelibatezze enogastronomiche come l’olio e il Sagrantino: l’Umbria è una regione dai mille volti, che vale la pena di scoprire durante le vacanze pasquali, magari andando a visitare uno dei suoi tanti borghi fortificati.
Il viaggio può avere inizio da Amelia, dove proprio nei giorni della Settimana santa, o meglio nella giornata di sabato 31 marzo, inaugurerà «Sentieri», un festival di arte contemporanea, alla sua prima edizione, che porterà nei palazzi nobiliari e nelle note cisterne sotterranee della bella cittadina, di origine romana, una trentina di giovani artisti e poeti di varie nazionalità, invitati da Claudio Pieroni del Centro ricerca arte contemporanea.
L’esposizione, realizzata con la consulenza dell’associazione culturale «Feng Huang», che vede alla guida Luo Guixia, «immagina -a detta degli organizzatori- le tappe di un percorso visivo e simbolico che accomuna, sfiorandole, la memoria e la metafora di viaggi lontani, tra «La Via della seta» e la «Via Francigena», che in questo territorio di orizzonti a perdita d’occhio, si sono incrociate secoli addietro».
Dipinti, fotografie, video e installazioni racconteranno, dunque, quel ricco tessuto di scambi culturali che si costruiva durante i lunghi viaggi di pellegrini e mercanti tra Oriente e Occidente, dando vita a feconde commistioni di lingue, abitudini, riti e comportamenti.
La mostra, che rimarrà aperta nei giorni di Pasqua, Pasquetta e tutti i sabati e le domeniche fino al 29 aprile (dalle ore 11.30 alle ore 19; sono possibili aperture straordinarie chiamando i numeri 335.7077948 o 3487595963), offrirà anche l’occasione per visitare spazi solitamente chiusi al pubblico, da antiche dimore come il prestigioso e rinascimentale Palazzo Venturelli, riqualificato in elegante residenza d’epoca con annessa osteria, a luoghi in abbandono che popolano le vie del centro storico come botteghe chiuse, officine in disuso e magazzini dimenticati, ma abitati ancora da oggetti, strumenti e suppellettili che ne conservano la memoria.
Per l’occasione saranno visitabili anche gli spazi monumentali delle cisterne romane, risalenti al II secolo a.C.. Questo sito, di grande suggestione, è ubicato sotto piazza Matteotti ed è costituito da un sistema di dieci locali deputati alla raccolte delle acque piovane per dissetare gli antichi abitanti della città di Amelia, conosciuta anche per essere la patria dei fichi girotti.
Spostandoci verso il nord dell’Umbria, una visita nei giorni di Pasqua la merita anche il borgo di Montone. Qui, lunedì 2 aprile è in programma la prima ostensione della Santa Spina, una festa ricca di spiritualità, fortemente legata alla storia del borgo. La festa si svolge in due tappe, una di un giorno, il lunedì dell’Angelo, e la seconda nella settimana di ferragosto, con un programma incentrato su una rievocazione storica fedelissima che richiama a Montone migliaia di visitatori.
I documenti storici narrano che proprio il Lunedì dell’Angelo Carlo Fortebracci, figlio del celebre condottiero Braccio, donò a Montone la Spina della corona di Cristo ricevuta dalla Serenissima Repubblica di Venezia, per i suoi servigi militari. C’è anche una leggenda secondo la quale questa Spina, oggi conservata nel convento di Sant’Agnese, sarebbe fiorita il Venerdì Santo, emanando un dolcissimo profumo.
La Pro Loco e il Comune di Montone predispongono ogni anno un programma di eventi molto ricco che si apre la mattina con la lettura del Proclama del Gran Gonfaloniero e con l’arrivo del conte Carlo Fortebracci e dei suoi soldati a cavallo, seguito dal corteo storico della Donazione della Santa Spina con i rappresentanti dei tre rioni, accompagnato dai tamburi e dalle chiarine del Castello.
Il reliquiario della Santa Spina sarà visitabile per l’intero pomeriggio nella chiesa della Collegiata. Oltre ai riti religiosi sono previsti diversi appuntamenti ricreativi, dal mercato medievale dei mestieranti del contado di Montone e dei castelli vicini, ai giochi in piazza e agli spettacoli di burattini per i bambini. In programma, infine, l’omaggio alla corte degli «Arcieri Malatesta» di Montone e l’esibizione dei locali sbandieratori.
Punta, invece, sulle sue specialità enogastronomiche il borgo di Montefalco, la patria del Sagrantrino e degli affreschi di Benozzo Gozzoli sulla vita di San Francesco, per i giorni pasquali. Dal 31 marzo al 2 aprile ci sarà, infatti, nella cittadina umbra la manifestazione «Terre del Sagrantino», una rassegna dove sarà possibile trovare anche formaggi, salumi, ceramiche e tessuti, i protagonisti per eccellenza del territorio umbro nel magnifico Chiostro di Sant'Agostino.
In questi primi giorni di primavera merita una visita anche Trevi, dove il 21 e il 22 aprile andrà in scena l’undicesima edizione di «Pic & Nic. Arte, musica e merende tra gli ulivi», che offrirà l’occasione per conoscere una parte di quel suggestivo paesaggio della Fascia Olivata Assisi-Spoleto, recentemente premiato come Paesaggio rurale storico dal Ministero delle Politiche agricole. 

Didascalie delle immagini 
[Figg. 1 e 2] Amelia; [figg. 3 e 4] Montone; [fig. 5] Trevi, una scena della festa «Pic & Nic. Arte, musica e merende tra gli ulivi» [Si ringrazia per le immagini Michela Federici di www.addcomunicazione.it

Informazioni utili 
www.sentieriartecontemporanea.com 
www.comunemontone.it 
www.treviturismo.it
www.picnicatrevi.it

lunedì 26 marzo 2018

«Marie Antoinette», a Prato «i costumi di una regina da Oscar»

È il 2006 quando Sofia Coppola presenta sugli schermi cinematografici di tutto il mondo una versione inedita della vita della giovane regina Maria Antonietta. Partendo dalla lettura della biografia scritta nel 1932 dallo storico Stefan Zweig, la regista americana restituisce agli spettatori una versione più autentica della giovane austriaca della casata d’Asburgo-Lorena, diventata nel 1791 regina di Francia, e degli eventi che, a corte, determinarono la sua personalità.
Salita al trono a soli diciannove anni con un marito come re Luigi XVI inadeguato alla vita coniugale, Maria Antonietta, interpretata su grande schermo da Kirsten Dunst, compensa le mancanze affettive rifugiandosi nel lusso.
Il clima di leggerezza e freschezza della giovane, quasi una moderna adolescente talvolta annoiata, talaltra felice all’eccesso, viene rappresentato da Sofia Coppola con frequenti scene di balli, giochi, risate, ambientazioni caratterizzate da colori pastello, presenza di dolci e dolciumi, lussuosi abiti di seta ideati dalla costumista Milena Canonero.
Sono proprio questi vestiti al centro della nuova mostra promossa dal Museo del tessuto di Prato, in occasione della rassegna «Il Capriccio e la ragione. Eleganze del Settecento europeo», organizzata con le Gallerie degli Uffizi e il Museo Stibbert di Firenze.
«Marie Antoinette. I costumi di una regina da Oscar», questo il titolo dell’esposizione, si avvale della collaborazione di «The One», la più giovane sartoria cinematografica e teatrale di Roma, che custodisce un vastissimo patrimonio di abiti tesi a raccontare la storia dello spettacolo televisivo, teatrale e cinematografico italiano e straniero.
I costumi esposti, ritenuti dalla critica frutto della migliore reinterpretazione cinematografica mai realizzata dell’abbigliamento del XVIII secolo, sono stati premiati con un premio Oscar nel 2007. Il tutto ha concorso a fare di questa pellicola un fenomeno di costume e di moda che ha segnato un nuovo modo di interpretare il soggetto storico nel cinema: la selezione sweet candy dei colori hanno reso preziosa, contemporanea e glamour l’immagine della protagonista, osando in dettagli paradossali -le scarpe di Manolo Blahnik e le All Star Converse indossate dalla regina- la cui citazione ha generato un potente ponte mediatico con il pubblico giovanile.
Il percorso espositivo si apre con una sezione dedicata alla figura di Maria Antonietta. Un’istallazione multimediale ripercorre non solo le tappe più significative della sua vita, ma racconta anche il contesto sociale in cui è vissuta e soprattutto la sua grande passione per la moda.
La sua immagine pubblica è frutto della fantasiosa inventiva dei migliori artigiani di Francia: abiti sontuosi, accessori raffinati, parrucche stravaganti e preziosi gioielli definiscono il suo stile, imitato non solo dalle nobildonne di Versailles, ma da tutte le corti europee.
Accanto ad alcuni corsetti e sottogonne - allestiti come delle istallazioni contemporanee ad evocare le rigide e complesse sottostrutture degli abiti femminili del secolo– risalta l’abito realizzato per lo shooting che la rivista «Vogue America» ha dedicato al film e che generato, grazie all’originalità delle scene e delle immagini, spunti e suggestioni nei creativi del fashion.
Da questa presentazione storica la mostra prosegue nella grande sala che accoglie oltre venti costumi maschili e femminili indossati dai protagonisti del film: dall’abito invernale da giorno indossato dalla protagonista alla partenza dalla corte di Vienna all’abito composto da busto e doppio panier della famosa scena della vestizione alla francese; dai costumi indossati da Maria Antonietta e Luigi XVI per l’incoronazione a quelli legati agli incontri con il duca di Fersen e Madame du Barry fino a quelli delle scene della fuga da Versailles.
Tutti i pezzi esposti sono di proprietà dell’archivio di «The One», sartoria che si è occupata di dare anima alle idee della Canonero, realizzando circa centosettanta costumi, di cui più di cento solo per la protagonista Kirsten Dunst. Il lavoro ha tenuto conto del ritratto psicologico della protagonista proposto dalla regista americana ed è frutto di un’approfondita indagine iconografica sulla pittura europea del Settecento che ha permesso di studiare le fogge, i gioielli, le acconciature, i ricami e le sottostrutture.
«La ricerca dei materiali – racconta Alessandra Cinti, titolare della sartoria romana- è stata minuziosa, lunga e complessa, soprattutto per quanto riguarda le rifiniture con l’impiego di merletti, ricami e applicazioni, alcuni dei quali addirittura originali dell’epoca. Una volta cucite ai costumi, le rifiniture hanno contribuito a valorizzare la preziosità dei tessuti, come nel caso dell’abito in seta dalla mano “croccante” che Maria Antonietta indossa per l’incoronazione, uno dei più belli e complessi di tutta la produzione».
Per l’occasione la sala espositiva del Museo del tessuto di Prato è stata trasformata in un’architettura che evoca i grandi saloni di Versailles, con cornici sospese e un’imponente scalinata a gradoni, metafora della parabola di successi e drammi vissuti da Marie Antoinette.
Al centro della grande pedana una proiezione inventa uno spazio all’aperto che richiama i giardini del Trianon, ambiente tanto caro alla regina; mentre alcuni frame del film creano una relazione stringente tra i costumi e il racconto cinematografico di Sofia Coppola. Quasi a dire che, certe volte, pizzi, merletti, acconciature a puf e profumi di cipria possono trasformare un’attrice in una regina tra le più discusse della storia. In una regina per un giorno.

Didascalie delle immagini
[Figg.1,2, e 3] Veduta della mostra «Maria Antoinette. I costumi di una regina da Oscar». Foto di Leonardo Salvini; [fig. 4] Maria Antonietta riceve una lettera dalla madre. Progetto Milena Canonero. Manifattura Gabriele Mayer, 2006. Abiti di corte con doppio panier. Archivio storico Sartoria The One, Roma. Indossato da: Kirsten Dunst; [fig. 5] La toilette di Maria Antonietta. Progetto Milena Canonero. Manifattura Gabriele Mayer, 2006. Robe a l'Anglaise e sottoveste. Archivio storico Sartoria The One, Roma. Indossato da: Kirsten Dunst 

Informazioni utili
Maria Antoinette. I costumi di una regina da Oscar. Museo del Tessuto, via Puccetti, 3 – Prato. Orari: martedì – giovedì, ore 10.00-15.00; venerdì e sabato, ore 10.00-19.00; domenica, ore 15.00-19.00; chiuso il lunedì.  Ingresso: intero € 7,00, ridotto € 5,00. Sito web: www.museodeltessuto.it. Fin al 27 maggio 2018.