ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

giovedì 19 novembre 2015

Calabria: Reggio e Cosenza omaggiano l’arte di Mattia Preti

Proseguono in Calabria gli eventi indetti dalla Regione con il Segretariato regionale del Ministero dei Beni culturali in occasione delle celebrazioni per il sesto centenario dalla nascita di Mattia Preti, uno dei più importanti pittori italiani del Seicento.
Reggio Calabria ospita, nelle sale di Palazzo Foti, una mostra a cura di Nella Mari e Giuseppe Mantella, già esposta nelle scorse settimane a Crotone, che analizza quattro opere realizzate dal «Cavaliere calabrese» tra la fine degli anni Cinquanta del Seicento e il 1687, tutte raffiguranti San Sebastiano.
I lavori in mostra, visibili fino al prossimo 10 dicembre, provengono dalla Galleria nazionale di Cosenza, dall’Immacolata Concezione di Maria a La Valletta di Malta, dalla chiesa di San Domenico e dal museo civico di Taverna.
La figura di San Sebastiano, colta nel momento del suo martirio, è stata trattata da numerosi artisti tra il Quattrocento e il Seicento, come Albrecht Durer, Paolo Veronese, Benozzo Gozzoli, Antonello da Messina, Andrea Mantegna e il Perugino. Mattia Preti nacque nel 1613 a Taverna, paese della Calabria Ulteriore, il cui patrono è proprio il martire cristiano. Non poteva, dunque, non nascere un forte legame iconografico tra l’artista e il santo. Un legame fatto di storia, tradizione e devozione, che porterà il pittore a confrontarsi più volte con la figura di San Sebastiano, prima a Napoli e successivamente a Malta, dove visse e lavorò fino al 1699, anno della morte.
Mattia Preti si colloca nell’aura stilistica dei grandi maestri che dipingevano i santi nella crudezza del loro martirio, mostrando la tensione e la nudità delle carni, come si può, per esempio, notare nei lavori realizzati da Paul Rubens nel 1614 o da Guido Reni nel 1615.
Paragonando le diverse interpretazioni dello stesso soggetto, realizzate in oltre trent’anni di carriera, è, inoltre, possibile cogliere concretamente l’evolversi del percorso artistico del pittore, che dal cupo realismo legato al linguaggio caravaggesco passa all’intensità drammatica delle opere più tarde.
Alla figura di Mattia Preti guarda anche la mostra in agenda a Cosenza, nelle sale di Palazzo Arnone, fino al prossimo 12 dicembre. L’esposizione, a cura di Fabio De Chirico, propone, infatti, un incontro di grande suggestione tra l’opera del pittore seicentesco e quella di Giovanni Gasparro, giovane artista pugliese, tra i nomi di punta dell’arte sacra contemporanea, al quale nel 2009 è stato commissionato l’intero ciclo pittorico per la decorazione della Basilica di San Giuseppe Artigiano all’Aquila e che recentemente ha esposto a Udine e Tolmezzo nella mostra «Dipingere il mistero. L'arte della fede oggi».
Il progetto espositivo prende spunto da alcune opere di Mattia Preti conservate alla Galleria nazionale di Cosenza capaci di suscitare grande pathos e forte coinvolgimento. Giovanni Gasparro si è confrontato con questo immaginario figurativo e ha dato vita a una sorta di dialogo trans-epocale con l’arte del grande maestro pervenendo aduna personale e originale rilettura.
«La mostra, oltre al ciclo di opere che traggono diretta ispirazione dai capolavori di Mattia Preti, -spiegano gli organizzatori- propone ulteriori lavori dell’artista pugliese che tendono a dare forza e vigore all’incontro fra realtà artistiche e culturali lontane e differenti in uno stimolante rapporto dialettico reso possibile dalla fruizione ravvicinata delle opere e dal percorso espositivo di grande fascino che si respira nelle sale della Galleria nazionale di Cosenza».
Tra le opere in mostra si segnala il «Torculus Christi. Torchio mistico con San Gabriele dell'Addolorata e Santa Gemma Galgani» che rimanda al «Crocifisso fra i santi Bruno e Francesco d’Assisi »di Mattia Preti. Non meno interessanti sono uno specchio dipinto raffigurante «La Veronica» e «Nell’ora della prova», lavoro ispirato ai due dipinti raffiguranti «Ercole libera Teseo» e «Ercole libera Prometeo» del corpus pretiano conservato nel museo cosentino.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Giovanni Gasparro, «Torculus Christi. Torchio mistico con san Gabriele dell'Addolorata e santa Gemma Galgani», 2013. Olio su tela, 270 x 180; [fig. 2] Giovanni Gasparro, «San Marco Evangelista», 2013. Olio su tela, 140 x 102; [fig. 3] Giovanni Gasparro, «Santa Maria Egiziaca», 2010. Olio su tela, 90 x 70. Bari, collezione privata

Informazioni utili 
«Mattia Preti dipinge San Sebastiano». Palazzo Foti,Via S. Francesco di Sales, 3 - Reggio Calabria. Orari: dal lunedì al venerdì, dalle ore 9.00 alle ore 12.30 e dalle ore 15.00 alle ore 17.00. Ingresso gratuito. Informazioni: tel. 0965.364111. Fino al 10 dicembre 2015. 

«Giovanni Gasparro versus Mattia Preti». Galleria nazionale di Cosenza – Palazzo Arnone - Cosenza. Orari: dal martedì alla domenica, dalle ore 10.00 alle ore 18.00. Ingresso gratuito. Informazioni: tel. 0984.795639.  Fino al 12 dicembre 2015. 


mercoledì 18 novembre 2015

«Dimmi che mi ami», a passo di danza contro la violenza alle donne

Giordana Di Stefano aveva vent’anni e come tutte le giovani donne aveva un sogno: quello di diventare una danzatrice professionista. Per realizzare questo suo obiettivo aveva contattato la compagnia Motus di Siena e aveva ottenuto un’audizione. Un’audizione che non è mai riuscita a fare. Lo scorso 7 ottobre Giordana è stata uccisa a Nicolosi con quarantadue coltellate dall’ex-fidanzato, che aveva più volte denunciato per stalking. A questa giovane donna, che era anche madre, è dedicato lo spettacolo «Dimmi che mi ami», in programma al Centro internazionale d’arte di Siena mercoledì 25 novembre, in occasione della Giornata mondiale contro la violenza alle donne. Per una perversa ironia della sorte, la compagnia Motus aveva, infatti, prodotto di recente, con il sostegno della Regione Toscana e del Comune di Siena, questo spettacolo che denuncia sia il femminicidio sia la solitudine e l’inadeguatezza dell’uomo di oggi, incapace di incontrare se stesso e i vissuti del cuore.
«Dimmi che mi ami» è un lavoro che vuole suscitare la giusta indignazione nei confronti di un’epidemia di violenza che deve essere arrestata. Dalle statistiche emerge, infatti, che sono quasi 66.000 le donne uccise ogni anno nel mondo. I dati dell’Italia non sono più rassicuranti: solo nel 2013 sono state assassinate centoventotto donne, una ogni due giorni, e gli uccisori erano soprattutto i partner delle vittime. In questi numeri non rientrano, poi, le altre donne vittime di violenza, quelle picchiate in casa, molestate in strada o vittime di bullismo sul web, che, sempre secondo le statistiche, sono almeno una su tre. Ma, com’è noto, le statistiche possono solo analizzare i dati reali, quelli cioè delle vittime che trovano il coraggio di denunciare gli aggressori.
Per questo motivo si rivela di grande interesse l’iniziativa senese. Un’iniziativa che Simona Cieri, coreografa di Motus ha così descritto: «il 25 novembre danzeremo contro la violenza in memoria di Giordana, ma vogliamo mantenere alta l’attenzione tutto l’anno e invitare tutte le donne a denunciare. Dopo la morte di Giordana abbiamo deciso di lanciare una campagna nazionale contro la violenza attraverso il progetto Mariposas che può essere sostenuto attraverso il voto sul Web».
Interpretato da Veronica Abate, Martina Agricoli, Andrè Alma, Maurizio Cannalire, Simona Gori, su coreografie di Simona Cieri e regia di Rosanna e Simona Cieri, lo spettacolo è frutto della collaborazione con il compositore napoletano Daniele Sepe, uno degli autori più interessanti e prestigiosi del panorama nazionale, che firma le musiche originali.

Didascalie delle immagini
[Figg. 1, 2 e 3] Una scena dello spettacolo «Dimmi che mi ami», con la compagnia Motus

Informazioni utili
 «Dimmi che mi ami». Centro internazionale d’arte di Siena, Via Mencattelli 5/7 (San Prospero) Siena. Informa-zioni: MOTUS Promozione, via Mencattelli, 5/7 – Siena, tel. 0577.286980 o info@motusdanza.it. Mer-coledì 25 novembre 2015, alle ore 21.00.

mercoledì 11 novembre 2015

In aedibus ‘Cini’, l’arte tipografica a Venezia ai tempi di Aldo Manuzio

Tra le numerose e pregiate collezioni d’arte della Fondazione Giorgio Cini di Venezia, la cui parte più cospicua e importante è stata donata dallo stesso fondatore, Vittorio Cini, non manca una pregevole raccolta di libri antichi, composta da circa tremila volumi, molti dei quali estremamente rari o addirittura unici.
Il fondo di incunaboli e cinquecentine conservato sull’Isola di San Giorgio Maggiore è in questi giorni sotto i riflettori. L’occasione è offerta dalla mostra «In aedibus Cini. L’arte tipografica a Venezia ai tempi di Aldo Manuzio» che la Biblioteca del Longhena promuove in occasione del quinto centenario dalla morte del «principe dei topografi», la cui azienda aveva come immagine simbolo un’àncora con un delfino che felicemente si sposa con il motto latino «Festina lente», affrettati lentamente.
Il percorso espositivo documenta la nascita, lo sviluppo e il successo dell’arte della stampa a Venezia nel Rinascimento, riconoscendo nei manufatti aldini una testimonianza di rara eccezionalità.
Con il tipografo laziale si ha il primo utilizzo del carattere corsivo, conosciuto come italic in tutto il mondo, la cui invenzione risale al 1501 e si deve a Francesco Griffo.
Aldo Manuzio pubblica, inoltre, i volumi in ottavo, un formato più piccolo rispetto ai formati in folio e in quarto e che rende i volumi maneggevoli e facilmente trasportabili e con essi anche il flusso della conoscenza si fa più agile.
Rinnova, poi, graficamente e ortograficamente il sistema interpuntivo inventando il punto e virgola e specificando il valore degli altri segni, restituendo al lettore maggiore leggibilità e comprensione dei testi.
Oltre ad evidenziare gli aspetti strettamente tipografici dell’impresa manuziana, la mostra veneziana intende illustrare la stretta e fruttuosa rete di relazioni che Aldo Manuzio strinse con i principali protagonisti della scena culturale che lui stesso visse e contribuì a generare, da Pietro Bembo a Pico della Mirandola, da Erasmo da Rotterdam ad Angelo Poliziano.
Una ventina di libri ripercorrono le tappe fondamentali dell’arte della stampa a Venezia nel Rinascimento, dai libri che in aedibus Cini cioè «nelle case di Cini» sono stati conservati. La frase fa eco alla tipica formulazione delle note tipografiche utilizzata da Manuzio, e poi anche dai suoi eredi: in aedibus aldi, ovvero «nelle case di Aldo».
Tra i volumi esposti compare l’«Omnia opera» di Angelo Poliziano, stampata nel 1498 a soli quattro anni dalla morte dell’autore, a testimonianza della vicinanza tra Aldo e l’umanista toscano.
La presenza di Manuzio alla Fondazione Cini assume un ulteriore significato proprio grazie a questo volume: nella pagina con dedica all’amico Marin Sanudo, lo stampatore esprime il rammarico di non poter dare alle stampe la «Seconda Centuria» della «Miscellanea» di Poliziano. Come spiega lo stesso Manuzio, qualcuno, forse a Firenze, nasconde il manoscritto per impedirne la pubblicazione.
Secoli dopo, nel 1961, fu proprio Vittorio Cini ad acquisire da un anonimo possessore, su suggerimento di Vittore Branca, il manoscritto della «Seconda Centuria» di Poliziano, di cui lo studioso realizza un’importante edizione critica, riconsegnando al mondo, dopo quasi cinquecento anni di assenza, la «Miscellaneorum Centuria Secunda». Grazie alla generosità del mecenate e all’intuito dello studioso, oggi si possono ammirare, l’una vicina all’altro, l’opera stampata e il manoscritto ritrovato.
Un altro volume prestigioso esposto è l’«Hypnerotomachia Poliphili» di un ancora misterioso Francesco Colonna, definito da molti come «il più bel libro del Rinascimento». Si tratta di un’opera accattivante ed enigmatica, anche per la lingua utilizzata (un misto di latino e volgare con la presenza di parole di derivazione greca), corredata da più di 150 incisioni (che in molti attribuiscono a Benedetto Bordone), che racconta allegoricamente il combattimento amoroso in sogno di Polifilo alla ricerca di Polia, la donna amata.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Simbolo dell’azienda di Aldo Manuzio; [fig. 2] «Primo Trionfo» in Francesco Colonna, «Hypnerotomachia Poliphili», Venezia, Aldo Manuzio 1499; [fig. 3] Angelo Poliziano, «Opera Omnia», Aldo Manuzio 1498; [fig. 4] «Le tre porte» in Francesco Colonna, «Hypnerotomachia Poliphili», Venezia, Aldo Manuzio 1499 

Informazioni utili 
«In aedibus Cini. L’arte tipografica a Venezia ai tempi di Aldo Manuzio». Fondazione Cini, Isola di San Giorgio Maggiore – Venezia. Orari: lunedì-venerdì, dalle ore 10.00 alle ore 17.00; sabato e domenica solo tramite il servizio di visite guidate prenotabili al numero 041.2201215 o all’indirizzo e-mail segreteria@civitatrevenezie.it. Ingresso libero. Informazioni: Biblioteca - Fondazione Giorgio Cini, tel. 041.2710255, biblioteca@cini.it. Sito Internet: www.cini.it. Fino al 29 novembre 2015.

martedì 10 novembre 2015

Da Tiziano a Francesco Guardi, due secoli di arte veneziana in mostra a Palazzo Cini

A metà Cinquecento, nella Venezia dei suntuosi palazzi patrizi che si stavano riempiendo di ricche collezioni d’arte, il sistema del sapere s’identificava con Daniele Barbaro (1514-1570), mecenate raffinatissimo, animatore del dibattito intellettuale nei circoli culturali della Serenissima e committente di alcuni dei più importanti artisti del secolo, come Palladio e Veronese.
Alla figura di questo importante umanista, che fu anche curatore delle riedizioni veneziane del «De Architectura» di Vitruvio, la Fondazione Giorgio Cini, dedica una piccola mostra con due capolavori indiscussi della ritrattistica veneziana del Cinquecento, ovvero i ritratti di Daniele Barbaro dipinti da Tiziano Vecellio e Paolo Veronese, eccezionalmente prestati dal Museo del Prado di Madrid e dal Rijksmuseum di Amsterdam ed esposti insieme per la prima volta.
Eseguite a distanza di circa quindici anni l'una dall'altra, le due opere raccontano due momenti nodali nello sviluppo della pittura del Cinquecento a Venezia. La tela di Tiziano, risalente al 1545, coglie l’intellettuale di tre quarti, sulla trentina, con lo sguardo introspettivo e nelle vesti di studioso.
Un dipinto gemello a questo (probabilmente la versione oggi al Museo di Ottawa), inviato a Paolo Giovio, viene magnificato da Pietro Aretino in una celebre lettera del 1545: « […] splendida sembianza, in virtù del celeste spirito, che regna nello stile del divin Tiziano, appare si bene l’aurea nobiltà dell’illustre petto del laudato giovane».
Il ritratto di Veronese, eseguito intorno al 1560-1561, raffigura, invece, Daniele Barbaro in età più avanzata, ammantato della veste ecclesiastica (nel 1550 divenne patriarca di Aquileia). Abbigliato con la mantelletta color lavanda profilata di bordo porpora che contraddistingue l’abito da Patriarca e il nicchio nero calzato in capo, l’intellettuale veneto è colto nell’atto di esibire con la mano sinistra l’edizione dei suoi Commentari al «De Architectura» di Vitruvio editi nel 1556, mentre contro la colonna retrostante si vede ritratto, con variazioni, lo stesso volume aperto al foglio 235 del libro IX, dove si parla della «ragione et uso degli horologi et della loro invenzione et degli inventori». Sulla pagina aperta s’intravvede la figura di un putto nudo che indica un diagramma, elemento ritenuto una sorta di firma criptica dello stesso pittore. Con questa effigie di alto prelato seduto in cattedra nell’atto di rivolgersi a una terza persona, Veronese dà forma a un modello figurativo rimasto valido per decenni.
L’inedito confronto tra i due capolavori, proposto al secondo piano di Palazzo Cini, ha anche l’effetto di evidenziare le diverse sensibilità cromatiche dei rispettivi autori. Davanti al luminoso ritratto veronesiano dalle armonie fredde accordate dai grigi, il dipinto di Tiziano spicca, infatti, per la sobria consonanza dei colori intonati su un neutro sfondo scuro, ben colta in punta di metafora da Paolo Giovio nella risposta alla missiva di Aretino: «[…] tinto non in lacca, azzurri, e verderame, ma in elettissimo liquore di mistura d’ambra, musco e zibetto».
Con l’intento di valorizzare e di far conoscere al pubblico la ricchezza e il valore delle sue collezioni grafiche, l’Istituto di storia dell’arte della Fondazione Cini propone inoltre, sempre negli spazi del secondo piano di Palazzo Cini, una ricca selezione di disegni veneti del Settecento conservati all’interno del suo Gabinetto dei disegni e delle stampe.
L’esposizione, allestita fino al prossimo 15 novembre, si configura come n percorso suggestivo tra fogli di pregio di Canaletto, Guardi, Giambattista e Giandomenico Tiepolo, Giambattista Piazzetta, ma anche Ludovico Dorigny, Antonio Pellegrini, Giambattista Pittoni, Giuseppe Zais e Bernardino Bison, appartenenti per la maggior parte alle raccolte Fiocco e Fissore Pozzi.
A queste opere si aggiunge un grande foglio acquerellato con la «Veduta di San Giorgio Maggiore», attribuito a Francesco Guardi, dono di Paul Wallraf, la cui collezione grafica fu esposta alla Fondazione Cini nel 1959.
All’interno della mostra è, inoltre, esposta una selezione di indimenticabili ritratti di personaggi del variegato mondo del Settecento veneziano, dall’album di caricature di Anton Maria Zanetti, donato alla Fondazione da Vittorio Cini nel 1968.
L’occasione della mostra di disegni è data dall’arrivo a Palazzo Cini di un illustre ospite: una meravigliosa gouache del vedutista veneziano Francesco Guardi, raffigurante un suggestivo capriccio architettonico (ca. 1760), messa in dialogo con la «Veduta di San Giorgio Maggiore» della collezione Cini.
L’opera è concessa dal Musée Jacquemart-André di Parigi in occasione del prestito del «Doppio ritratto di amici» di Pontormo della Galleria Cini per la mostra sulla ritrattistica fiorentina nel «Cinquecento Florence. Portraits à la cour des Médicis», allestita in Francia fino al prossimo 26 gennaio.
L’opera, gravida di materia liquida che la tecnica del guazzo esalta nella sua resa opalescente, è un palpitante affondo sullo squarcio urbano di una Venezia malinconica, reinventata alla luce di una sensibilità da molti definitiva preromantica.
Lo scorcio di questo campiello, cinto da palazzi che il tempo ha consumato e segnato sullo sfondo da un monastero su cui svetta la tipica cupola veneziana, è inquadrato da un portico invaso dalla vegetazione, la cui scala dimensionale esalta il cannocchiale della vertiginosa prospettiva diagonale. Pennellate guizzanti e materiche di brillante esecuzione fanno crepitare di energia le architetture e le figure che animano lo spazio, come la bellissima la coppia del padre con il figlio in primo piano, motivo ricorrente nei capricci guardeschi.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Tiziano Vecellio, Ritratto di Daniele Barbaro, 1545. Museo del Prado di Madrid; [fig. 2] Paolo Veronese, Ritratto di Daniele Barbaro, 1560-61. Rijksmuseum di Amsterdam; [fig. 3] Antonio Maria Zanetti, Disegno tratto dall'album delle Caricature

Informazioni utili 
Stagione autunnale di Palazzo Cini. Palazzo Cini, Campo San Vio, Dorsoduro 864 – Venezia. Orari: ore 11.00–19.00, chiuso il martedì (ultimo ingresso ore 18.15). Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 8,00. Informazioni: palazzocini@cini.it. Sito web: www.cini.it. Fino al 15 novembre 2015.

lunedì 9 novembre 2015

Dai film di Pasolini alla prima di «Medusa Suite»: un novembre ricco di appuntamenti al Funaro di Pistoia

Il 2 novembre di quaranta anni fa moriva Pier Paolo Pasolini. Per ricordare l’intellettuale bolognese, il Funaro di Pistoia organizza per tutto il mese di novembre un appuntamento speciale del suo Cinetandem, il cinema più piccolo del mondo, attivo per l’intero anno solare su prenotazione, grazie a una felice intuizione di Massimiliano Barbini e Antonella Carrara.
Tutti i giorni, alle ore 19, sarà possibile degustare, previa prenotazione, un aperitivo per due persone in compagnia del corto «Che cosa sono le nuvole», l’episodio diretto da Pier Paolo Pasolini all’interno di «Capriccio all’italiana». Totò, Ninetto Davoli, Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Laura Betti e Carlo Pisacane sono alcuni degli indimenticabili protagonisti di questo film, la cui colonna sonora fu firmata da Domenico Modugno.
La storia è una rivisitazione dell’Otello, recitato da un gruppo di marionette, che sulla scena interpretano i ruoli shakespeariani, ma che dietro le quinte si pongono delle domande esistenziali sul perché fanno ciò che fanno. Il film diventa così una riflessione piuttosto amara sui significati dell'esistenza umana e sui rapporti tra l'apparire e l'essere, tra la vita e la morte.
La seconda proposta è «La ricotta», noto corto del 1963 diretto da Pasolini con Orson Welles nel ruolo del regista, che fa parte del film «Ro.Go.Pa.G,», il cui titolo è una sigla che identifica i registi dei quattro segmenti: Rossellini, Godard, Pasolini e Gregoretti.
L’episodio racconta di un uomo affamato, la comparsa Stracci, impegnato nelle riprese di una passione di Cristo girata nella campagna romana. Sorpreso dagli altri attori a mangiare una ricotta, viene invitato ad abbuffarsi con i resti del banchetto preparato per l'ultima cena e al momento di girare la scena della crocifissione, muore di indigestione sulla croce. Il regista, senza ombra di commozione, commenterà: «Povero Stracci. Crepare [...] non aveva altro modo di ricordarci che anche lui era vivo [...]».
Passando al palcoscenico, il prossimo titolo in cartellone al Funaro è «Medusa Suite», che il 14 novembre verrà presentato in prima assoluta nel teatro pistoiese, in francese con sovra titoli in italiano.
Sheila Concari, videoartista e scrittrice, ed Emmanuelle Riva, attrice francese candidata all’Oscar nel 2013 per l’interpretazione del film «Amour» di Michael Haneke, si incontrano nel 2009 e da questa esperienza nasce «un dialogo sul tema della femminilità come donna cancellata, autocastrata per amore, non-madre, anti-madre». La complicità e la sintonia, cresciute nel tempo, porteranno le due artiste a lavorare in residenza dal 10 al 16 novembre al Funaro su questa nuova produzione, dove il mito di Medusa viene rivisitato in chiave onirica e assume le sembianze di un corpo fatto d’acqua e di pietra, governato dalle leggi del sogno. «Nello specchio della Gorgone si riflette la storia di Danae, genitrice del giustiziere Perseo. Le creature mitologiche -affermano gli organizzatori- diventano organiche e tra tentacoli e alghe si confondono nell’unica grande vicenda della vita immaginata ma anche vissuta o non vissuta. Sfogliando il diario dei turbamenti di una metamorfosi dai toni noir e romantici, si svela un mondo dove il dramma è solo un ricordo o, forse, una pallida e dolce premonizione».
Lo spettacolo sarà accompagnato da due eventi, entrambi a ingresso gratuito: venerdì 13 novembre, alle ore 19, si terrà un’edizione speciale di «Leggiamo poi si vedrà», il progetto che accompagna il pubblico alla scoperta del filo rosso tra letteratura e cinema. Per l'occasione è stata programmata la proiezione del film «Hiroshima mon amour», alla presenza della sua protagonista, Emmanuelle Riva (è obbligatoria la prenotazione scrivendo a info@ilfunaro.org). Mentre domenica 15 novembre, alle ore 17, nella libreria «Lo spazio» di via dell’Ospizio verrà presentato il testo «Medusa Suite», alla presenza dell’autrice Sheila Concari e della sua interprete Emmanuelle Riva.
Nello stesso fine settimana (sabato 14 novembre, dalle ore 11 alle ore 19, e domenica, dalle ore 9.30 alle ore 13) il Funaro, insieme con il Piccolo teatro Mauro Bolognini, ospiterà un altro appuntamento importante: il convegno a cura di Piergiorgio Giacchè, presentato dal Funaro e Associazione teatrale pistoiese, con la media partnership di Radio 3, dal titolo «Il Teatro della Critica» (l’ingresso è gratuito; è gradita la preiscrizione all’indirizzo stampa@ilfunaro.org).
Piergiorgio Giacchè, Rodolfo Sacchettini e Massimiliano Barbini si confronteranno sul tema della cultura e della funzione critica in senso ampio e non esclusivamente in ambito teatrale, con Consuelo Battiston&Gianni Farina (Menoventi), Alfonso Berardinelli, Massimiliano Civica, Lorenzo Donati, Goffredo Fofi, Vittorio Giacopini, Daniele Giglioli, Nicola Lagioia, Sandro Lombardi, Claudio Morganti, Silvia Pasello, Attilio Scarpellini, Nicola Villa e Walter Siti. Un’importante occasione di confronto, aperta a tutti, a partire dalla premessa di Giacchè: il teatro è ancora un luogo abitato dalla critica, ma la critica oggi è un modo che non ha più un teatro.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] CinemaTandem al Funaro di Pistoia; [fig. 2] Emmanuelle Riva sarà in scena al Funaro con Medusa Suite, testo scritto da Sheila Concari; [fig. 3] Immagine realizzata in occasione del convegno «Il Teatro della Critica», in programma il 14 e il 15 novembre 2015

Informazioni utili 
Il Funaro centro culturale, via del Funaro 16/18 – 51100 Pistoia, tel/fax 0573.977225, tel 0573.976853, e–mail: info@ilfunaro.org. Sito web: www.ilfunaro.org.