ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 1 agosto 2014

«To be or not to be», l'arte concettuale di Giulio Paolini in mostra a Londra

«To be or not to be, that is the question»: è certamente una delle frasi più celebri della drammaturgia mondiale di tutti i tempi. Scritta da William Shakespeare nell'«Amleto», all'inizio del soliloquio del principe danese posto in apertura della prima scena del terzo atto, la battuta è diventata nell'immaginario collettivo metafora di un interrogativo esistenziale.
A quattrocentocinquanta anni dalla nascita dello scrittore inglese, poeta tra i più romantici e scrittore che ha saputo mettere nero su bianco le dinamiche sociali e politiche del suo tempo, il «dubbio amletico» diventa argomento per una mostra grazie a Giulio Paolini (Genova, 1940), esponente di spicco dell'avanguardia concettuale italiana che si è affermato all'attenzione del pubblico internazionale insieme ad altri artisti della sua generazione legati al movimento poverista quali Mario Merz e Michelangelo Pistoletto.
L'autore di opere come «Giovane che guarda Lorenzo Lotto»(1967), «Cariatidi» (1980) e «Contemplator enim» (1991) propone, infatti, a Londra per tutta estate, negli spazi della prestigiosa Whitechapel Gallery, una rassegna dal titolo «To be or not to be», nella quale sono allineati ventuno lavori, realizzati tra gli anni Sessanta e oggi, che indagano le relazioni tra l'opera, lo spazio espositivo, l'autore e lo spettatore.
L'esposizione -curata da Bartolomeo Pietromarchi e Daniel F. Herrmann, Eisler curator e head of curatorial studies della galleria britannica- è già stata presentata in versione ridotta al Macro di Roma lo scorso inverno e si configura come la prima antologica dedicata oltre Manica all'artista genovese, ormai da tempo residente a Torino, dove nel 2004 ha anche fondato, insieme con la moglie Anna, una fondazione dedicata alla promozione e allo studio della sua opera.
Per Giulio Paolini, autore che vanta diverse partecipazioni a Documenta di Kassel (1972, 1977, 1982 e 1992) e alla Biennale d’Arte di Venezia (1979, 1976,1984,1993, 1997 e 2013), l'opera non esiste soltanto nell'hic et nunc, non termina cioè nel momento in cui la si realizza, ma al contrario porta con sé l'eco di tradizioni precedenti. Da questa considerazione è nato, sul finire degli anni Sessanta, l'interesse dell'artista per le esperienze pittoriche e scultoree dei grandi del passato, per la storia del dipingere e dello scolpire, per i metodi e i materiali di chi ha trovato posto nei più importanti musei del mondo. Un interesse, questo, che si è espresso attraverso la citazione, ovvero l'uso di calchi in gesso di sculture classiche e di riproduzioni di maestri antichi quali Chardin, Lorenzo Lotto e Diego Velázquez. Così Giulio Paolini ha reso vivo il suo pensiero secondo il quale «un’opera, per essere autentica, deve dimenticare il suo autore».
Comune denominatore tra i lavori esposti nella mostra londinese -di cui rimarrà documentazione in un catalogo edito da Macro/Quodlibet Edizioni,con saggi dei due curatori e di critici quali Gabriele Guercio e Barry Schwabsky- sono tracce e indizi dell'autore, che si estendono dall'autoritratto a motivi metonimici quali l'occhio e la mano, fino alla dimensione progettuale dello studio d'artista.
Nella Gallery 1, è allineata un’ampia raccolta di opere storiche, intorno a «Essere o non essere» (1994-95): una scacchiera di tele al suolo che rimanda all'ininterrotto processo di creazione e decostruzione dell'opera. Tra i lavori di maggior rilievo esposti si trovano «Giovane che guarda Lorenzo Lotto» (1967), riproduzione in dimensioni reali di un ritratto del 1505 di Lorenzo Lotto, e «Académie 3» (1965), un olio su tela caratterizzato da un gesto pittorico a mano libera che cade alle spalle dell'artista fotografato mentre è intento a dipingere. Nella stessa sala è anche visibile «Delfo» (1965), un autoritratto fotografico di Giulio Paolini, a braccia conserte e con lo sguardo nascosto da un paio di occhiali scuri, che guarda lo spettatore da dietro il telaio di una grande tela.
Nelle gallerie 8 e 9 sono, invece, in mostra una serie di lavori a carattere teatrale, che focalizzano l'attenzione sul processo creativo che si svolge al tavolo di lavoro dell'artista. «Big Bang» (1997-98) propone, per esempio, uno studiolo in miniatura, con tele preparate e fogli accartocciati sparsi tutt'intorno come corpi celesti orbitanti intorno al nucleo centrale. Mentre «Contemplator enim» (1992) è una complessa struttura in plexiglas, con l'immagine di valletti settecenteschi che offrono allo spettatore il profilo di ipotetici quadri.
La mostra si conclude con «L’autore che credeva di esistere (sipario: buio in sala)» (2013), opera che evoca uno studio d’artista, con un piano di lavoro costellato di disegni, fotografie e progetti, e una proiezione di immagini a parete.
Un percorso, dunque, interessante quello selezionato per il pubblico di Londra, dove Giulio Paolini ritorna dopo oltre trent'anni dalla sua ultima personale in Gran Bretagna, portando il visitatore alla scoperta del suo universo immaginifico, un mondo colto e onirico, in bilico tra passato e presente, che invita a riflettere sul senso dell'arte di ieri e di oggi. (sam)

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Giulio Paolini, «Essere o non essere» [«To Be or Not to Be»], 1994-95. Fondazione Giulio e Anna Paolini, Torino. © Giulio Paolini; [Fig. 2] Giulio Paolini, «Contemplator enim» (dettaglio), 1992.Collezione dell'artista.© Giulio Paolini; [fig. 3] Giulio Paolini, «Photofinish», 1993-1994. Fondazione Giulio e Anna Paolini, Torino. © Giulio Paolini. 

Informazioni utili
«Giulio Paolini: To be or not to be». Whitechapel Gallery, 77-82 Whitechapel High Street, London E1 7QX.Orari: martedì - domenica,  ore 11.00 - 18.00, giovedì, ore 11.00 - 21.00. Ingresso libero. Informazioni: tel. + 44.(0)20.75227888, info@whitechapelgallery.org. Sito internet: whitechapelgallery.org. Fino al 14 settembre 2014. 

mercoledì 30 luglio 2014

Le sirene giapponesi di Fosco Maraini

«Le giovani erano spesso bellissime; i loro corpi gentili e forti scivolavano nell’acqua con la naturalezza di un essere che si trova nel proprio elemento. Ma le anziane, con le tracce di numerose maternità nel petto, nel ventre o nei fianchi, riempivano di meraviglia e d’ammirazione per la loro bravura». Così Fosco Maraini (Firenze, 15 novembre 1912 – 8 giugno 2004), in uno dei suoi numerosi reportage di viaggio, realizzato nel 1954 e pubblicato nel 1960 dall’edizioni Leonardo Da Vinci, descriveva le donne degli Ama, capaci di perlustrare il fondo marino e di scendere in apnea fino a venti metri senza alcuna attrezzatura, se non una lama per staccare i molluschi.
Alla vita quotidiana di queste straordinarie pescatrici subacquee che vivevano sulle isole di Hèkura e Mikurìa, al largo delle coste occidentali del Giappone, è dedicata la mostra «L’incanto delle donne del mare», in programma per tutta estate al Mao – Museo d’arte orientale di Torino, grazie a un accordo siglato con il Museo delle culture di Lugano, diretto da Francesco Paolo Campione, in occasione del decimo anniversario della scomparsa di Fosco Maraini, viaggiatore, antropologo, fotografo, scrittore e poeta che fece del viaggio la sua condizione di vita e che usò la fotografia come una «scrittura con la luce» per descrivere luoghi lontani come il Tibet, l'India, la Thailandia, la Cambogia, la Cina e la Corea.
L’esposizione, che gode del patrocinio del Consolato generale del Giappone e della Japan Foundation di Roma, allinea una trentina di scatti di Leica in bianco e nero, testimonianza preziosa di un mondo ormai scomparso: la pesca di un tradizionale mollusco, l'awabi, che costituiva l’occupazione più diffusa nei mesi estivi e la fonte di reddito principale dell'intera comunità degli Ama. Il compito era tradizionalmente affidato a donne giovani e atletiche che, coperte dal solo kuroneko, una specie di perizoma, si immergevano giornalmente nel mare come sirene per cercare nei fondali l'awabi, staccarlo dalle rocce con una semplice lama ricurva, portarlo in superficie e posarlo in un cesto galleggiante.
Di quel mondo magico, oggi sono superstiti solo alcune anziane, ma usano attrezzature moderne e la suggestione non è più la stessa; per questo il lavoro di Fosco Maraini, oltre all’innegabile qualità delle fotografie, è considerato ancora oggi la fondamentale testimonianza di un mondo scomparso.
Per l’occasione le trenta immagini presentate al Mao, per la curatela di Alessia Borellini e Sara Mallia, sono arricchite dalla proiezione di un cortometraggio realizzato dallo stesso etnologo fiorentino, da una serie di volumi conservati presso il Gabinetto scientifico e letterario G.P. Vieusseux, da una preziosa selezione stampe xilografiche giapponesi dell’Ottocento (ukiyo-e) e dalle attrezzature realizzate per le riprese subacquee. Si tratta di tre «mini-scafandri» in acciaio utili a proteggere la macchina fotografica durante le immersioni, costruiti su disegni dello stesso Fosco Maraini che le aveva già sperimentate alle Eolie nelle riprese del film «Vulcano» con Anna Magnani.
È così che lo scrittore toscano scivolò tra le onde del Sol Levante per fissare sulla pellicola i volti sorridenti di giovani pescatrici nipponiche, che innocentemente mostrano la nudità dei propri corpi e che si immergono, dritte come frecce, nel blu del mare per riportare a galla molluschi, destinati a ricchi buongustai. (sam)

Didascalie delle immagini 
[fig. 1] Fosco Maraini, Svestirsi per il tuffo, Copy 2014, MCL - Vieusseux- Alinari; [fig. 2] Fosco Maraini, Ama, Copy 2014, MCL - Vieusseux- Alinari; [fig. 3] Fosco Maraini, Nel giardino delle Posidonie, Copy 2014, MCL - Vieusseux- Alinari; 
Informazioni utili 
«L’incanto delle donne del mare». Mao – Museo d’arte orientale, via San Domenico 11 – Torino. Orari: martedì-domenica, ore 10.00-18.00 (la biglietteria chiude un’ora prima), chiuso il lunedì. Ingresso: intero € 10,00, ridotto e 8,00, gratuito fino ai 18 anni. Informazioni: tel. 011.4436928. Sito internet: www.maotorino.it. Fino al 21 settembre 2014.

lunedì 28 luglio 2014

Venezia, a Ca’ Rezzonico un omaggio alle porcellane di Marino Nani Mocenigo

Era il 1936 quando Nino Barbantini, nume tutelare dell’arte veneta al quale si devono prestigiose mostre su Tiziano e Tintoretto, presentava a Ca’ Rezzonico una mostra sulle porcellane prodotte a Venezia e Nove, in provincia di Vicenza. Per la prima volta venivano raccolti in un museo oggetti realizzati dalle manifatture Vezzi, Hewelcke, Cozzi e Antonibon, a documentare un aspetto fino ad allora poco noto della grande stagione del Settecento veneziano.
Le opere esposte provenivano principalmente dalle raccolte civiche veneziane e da musei di tutta Italia. Il prestatore più generoso fu, tuttavia, un privato, il conte Marino Nani Mocenigo, una figura emblematica di collezionista che aveva dedicato la propria esistenza a riunire oggetti in porcellana e che, per questa sua ossessione, era stato appellato dai concittadini con l’affettuoso epiteto di «conte cicara».
Alla sua scomparsa, la moglie decise di ricordarne la memoria rendendo accessibile al pubblico la collezione messa insieme con tanta passione. Le porcellane furono così esposte a Ca’ del Duca assieme ad un’altra raccolta - questa volta dedicata all’arte orientale - riunita da un altro membro della famiglia, Hugues Le Gallais. Nelle stanze dell’illustre palazzo veneziano prendeva forma così un minuscolo, ma raffinatissimo museo che purtroppo per necessità contingenti non è più visitabile da lungo tempo.
In occasione della Biennale di architettura, la collezione di Marino Nani Mocenigo torna ad essere visibile al pubblico nei sontuosi ambienti al primo piano del museo di Ca’ Rezzonico.
La rassegna, curata dalla storica dell’arte e restauratrice Marcella Ansaldi, con Alberto Craievich, allinea trecentotrentotto pezzi, riferibili alle più importanti manifatture europee, dove, tuttavia, quelli di provenienza veneziana rappresentano la parte più cospicua e importante. Sono, infatti, più di un centinaio quelle di fattura lagunare, fra le quali si annoverano alcuni splendidi esemplari di Vezzi e due rare caffettiere di Hewelcke, oltre a numerosi gruppi figurati realizzati dalla manifattura di Pasquale Antonibon a Nove e da quella Geminiano Cozzi a Venezia. A quest’ultima appartiene anche il delizioso «Geografo», forse l’opera più nota della collezione.
Nella mostra, della quale rimarrà documentazione in un catalogo pubblicato da Scripta editore di Verona, si potranno, inoltre, ammirare alcuni degli esemplari più celebri usciti dalla manifattura di Meissen, modellati da Johann Joachim Kändler e da Peter Reinicke, come «Il baciamano polacco», «La Cinesina», il «Cacciatore», oltre ad alcuni sfolgoranti esemplari di servizi da tavola prodotti dalla manifattura sassone nella prima metà del Settecento come un servizio a decori d’oro o uno in pasta bianca con nature morte di frutta.
Sono presenti nella rassegna veneziana, allestita fino al 30 novembre, anche altre testimonianze di pregio della produzione di porcellana in area germanica: una rarissima parte di un servizio a cineserie compiuta a Vienna da Claudius Innocentius Du Paquier, ma anche esempi di Ludwigsburg, Frankenthal, Höchst e Berlino.
Chiude la selezione un nutrito gruppo di tazze e piattini della manifattura imperiale di Vienna del periodo Sorgenthal, tutte caratterizzate da una sfolgorante cromia e da un’audace scelta di motivi ornamentali.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Manifattura di Meissen (modello di Johann Joachim Kändler), «Il cacciatore». Venezia, collezione Nani Mocenigo – Le Gallais; [fig. 2] Manifattura di Meissen (modello di Johann Joachim Kändler), «Il baciamano polacco». Venezia, collezione Nani Mocenigo – Le Gallais; [fig. 3] Manifattura Cozzi, «Il geografo», Venezia, collezione Nani Mocenigo – Le Gallais

Informazioni utili
Le porcellane di Marino Nani Mocenigo. Ca’ Rezzonico - Museo del Settecento Veneziano, Dorsoduro 3136 -Venezia. Orari: ore 10.00–18.00 (la biglietteria chiude un’ora prima); dal 1° novembre ore 10.00-17.00 biglietteria chiude un’ora prima); chiuso il martedì. Ingresso: intero € 8,00, ridotto € 5,50. Informazioni: call center 848082000 (dall’Italia), +39.041.42730892 (dall’estero), info@fmcvenezia.it. Sito web: carezzonico.visitmuve.it. Fino al 30 novembre 2014.


sabato 26 luglio 2014

Depero, Tavolara e «La manifattura delle case d'arte» in mostra a Rovereto

Hanno vissuto negli stessi anni, ma in due luoghi geograficamente distanti: uno in Sardegna, l'altro in Trentino. Quasi certamente non si sono mai incontrati, anche se hanno preso parte entrambi all'Esposizione internazionale di arti decorative e industriali moderne di Parigi, tenutasi nel 1925. Ma -per uno strano gioco del destino- hanno condotto una ricerca stilistica simile, che li ha resi protagonisti di prim'ordine nel campo delle arti applicate e del design contemporaneo. Stiamo parlando di Eugenio Tavolara (Sassari, 1901–1963) e Fortunato Depero (Fondo, 1892 – Rovereto, 1960), le cui produzioni artistiche sono al centro del progetto espositivo che Nicoletta Boschiero e Manolo De Giorgi hanno curato per il Mart – Museo d'arte moderna di Trento e Rovereto e che rimarrà visibile al pubblico fino a domenica 14 settembre negli spazi della Casa d'arte futurista Fortunato Depero.
Marionette, figure meccaniche, giocattoli, arazzi, tappeti e sculture in esposizione fanno colloquiare, idealmente, le suggestioni del folklore popolare italiano con l'estetica avanguardista di inizio secolo.
Simili per tipologia, tecniche e ricchezza, i lavori esposti rappresentano, infatti, l’energica e specifica identità di chi li ha concepiti: dagli oggetti di Eugenio Tavolara emerge prepotentemente l'interesse per la tradizione sarda; da quelli di Fortunato Depero la vicinanza all'estetica futurista e alla creatività della sua terra.
In Sardegna come in Trentino, i due artisti rilanciano e promuovono l’artigianato locale, conducendo personalmente aziende e commerci. Il maestro trentino favorisce la nascita di centri di produzione, lavoro ed economia; parallelamente, il maestro sardo fonda negli anni Trenta la Casa Alba, coinvolgendo artisti, disegnatori e soprattutto centinaia di artigiani locali, depositari di tecniche e saperi antichi e raffinati, che vengono riscoperti e riproposti in una nuova e più contemporanea interpretazione.
I curiosi legami tra i due maestri, oltre a quelli evidenti dal paragone tra le produzioni e le opere (si pensi ai celebri logo, ai giocattoli, alle figure meccaniche, ai disegni e ai tappeti), scaturiscono anche dall’aver vissuto attivamente lo stesso tempo, interpretando le medesime istanze e tendenze. Per esempio, nell’Esposizione internazionale di arti decorative e industriali moderne di Parigi, Fortunato Depero partecipa, con Giacomo Balla ed Enrico Prampolini, allestendo una sala dedicata al futurismo; Tavolara presenta, invece, figure meccaniche e pupazzi in legno che gli valgono una medaglia d’oro e ampie segnalazioni da parte della critica.
La mostra, intitolata  «La manifattura delle case d'arte», raccoglie molti oggetti del maestro sassarese, alcuni dei quali mai presentati fuori dalla Sardegna nella loro interezza. È il caso di un gruppo di animali intagliati in legno, provenienti dalla collezione Luisangela e Rosaria Tavolara, il cui impianto primitivo rimanda chiaramente ai graffiti rupestri e alle rappresentazioni tribali.
In esposizione si trova anche la celebre «Cavalcata sarda», esposta nel 1940 alla Triennale di Milano e in seguito donata al principe Umberto II di Savoia; il gruppo ricostruisce il corteo svoltosi a Sassari nel 1939, in occasione della visita degli eredi al trono e appartiene oggi alla collezione Isola della Regione autonoma di Sardegna. A Casa Depero si possono, inoltre, ammirare i ciociari, i cantanti, i grassoni di Teulada, provenienti dalle collezioni Tilocca, e due gruppi di proprietà del Comune di Sassari: i venticinque pezzi del gruppo scultoreo «Processione dei misteri» (1928), sul Venerdì santo, e le trentadue statuine della famosa «Mascherata sassarese» (1937), raffigurante un corteo di uomini vestiti da donna, suonatori in pelli di capra, baffuti contadini ingonnellati, di una straordinaria forza grottesca.
Giocattoli e pupazzi rappresentano, non senza un pizzico di ironia, un mondo popolare in miniatura. A differenza di Fortunato Depero, l'artista sassarese dà vita a personaggi fortemente caratterizzati, che rivelano spesso na tendenza espressionista nella deformazione violenta dei visi e dei corpi, nella ricerca del grottesco. Come scrive Giuliana Altea: «lo sguardo sul mondo sardo è sì affettuoso, ma per nulla carezzevole o protettivo» .

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Eugenio Tavolara, «Cavalcata sarda», anni Cinquanta. Collezione Isola - Istituto sardo organizzazione lavoro artigiano - Regione autonoma della Sardegna; [fig. 2] Eugenio Tavolara, «Bue grasso», 1959. Collezione Luisangela e Rosaria Tavolara; [fig. 3] Eugenio Tavolara, «Processione dei misteri», 1928. Comune di Sassari

Informazioni utili
«Tavolara e Depero. La manifattura delle case d'arte». Orari: martedì-domenica, ore 10.00-18.00; venerdì, ore 10.00-21.00; lunedì chiuso. Ingresso: intero € 11,00; ridotto € 7,00; gratuito fino ai 14 anni. Informazioni: tel.0464.438887 o info@mart.trento.it. Sito internet: www.mart.trento.it. Fino al 14 settembre 2014.

giovedì 24 luglio 2014

«Oasi d'arte- Art's Oasis», un concorso per ridisegnare Petrosino

La vivibilità degli spazi pubblici e la partecipazione dei cittadini ai processi di riqualificazione della città sono i due obiettivi del concorso «Oasi d'arte- Art's Oasis», promosso dal Comune di Petrosino, con il patrocinio della Regione siciliana e con la collaborazione dei «Magazzini d’arte» di Trapani.
Il bando, la cui scadenza è fissata a fine settembre, si rivolge ad artisti di ogni età, sesso e nazionalità che, da soli o in gruppo, sono inviati a studiare un progetto di valorizzazione per sette aree urbane della città (il viale Stazione, piazza della Repubblica, piazza Santa Venera, piazza Biscione, piazzale Roma, due aree del lungomare) al fine di creare quello che il sindaco Gaspare Giacolone chiama un «distretto culturale evoluto». L’arte contemporanea diventa così, per usare le parole dell’architetto Vito Laudicina, «uno strumento attivo per una politica urbana della bellezza e della creatività che consenta a Petrosino di acquisire un orizzonte internazionale di riferimento».
Le opere in concorso dovranno porre un’attenzione particolare alla natura dell’ambiente che le accoglierà e dovranno, ovviamente, esaltare le qualità degli spazi nelle quali verranno collocate. Sono ammesse come tecniche artistiche la pittura (murales), la scultura e l’installazione e come materiali quelli adeguati a resistere all'azione degli agenti atmosferici.
Gli interessati potranno presentare la propria proposta (per un massimo di un progetto per ogni singola area individuata) tramite raccomandata al Comune di Petrosino, allegando la domanda di iscrizione completa di tutti i propri dati anagrafici e un supporto digitale con il materiale ideato per il concorso, completo di una descrizione una descrizione progettuale dell’opera, dei materiali utilizzati, delle dimensioni, delle modalità di assemblaggio delle parti dopo il trasporto, dell’idea che la lega alle finalità del concorso e della stima dei costi materiali ed esecuzione opere (per un massimo di tremila battute).
Le proposte che arriveranno in questi mesi agli uffici comunali saranno valutate da una commissione tecnica, ma la scelta finale spetterà ai cittadini di Petrosino. La giuria di qualità selezionerà, infatti, trentacinque proposte, cinque per ogni sito. Questi lavori verranno, poi, esposti al centro polivalente «Don Giacomo Ingarra» di Petrosino e gli abita tanti del paese siciliano decreteranno i sette vincitori, ai quali sarà riconosciuto un premio in denaro di 4mila euro, a rimborso delle spese di costruzione dell’opera.
«Questo progetto -ha dichiarato il sindaco Gaspare Giacalone- vuole fare da contraltare a quello che è il deserto culturale del nostro territorio. Vogliamo che sia espressione e incrocio di diverse culture e popoli, continuando un percorso già iniziato. Allo stesso tempo sono consapevole che questa è una sfida in un piccolo paese come il nostro, ma sono convinto che l’idea d’investire sulla cultura e sull’arte costituirà un sicuro momento di sviluppo anche economico, puntando ad un ritorno in termini di attrazione turistica». Sette idee progettuali, dunque, per ridare nuovo smalto al tessuto urbano di una cittadina affacciata sul mare come Petrosino è quanto ricerca il concorso «Oasi d'arte- Art's Oasis».

Didascalie delle immagini 
[fig. 1] Logo del concorso «Oasi d'arte- Art's Oasis»; [fig. 2] Piazzale Roma, a Petrosino, una delle aree interessate dal concorso «Oasi d'arte- Art's Oasis»;[fig. 3] Pizza Biscione, a Petrosino, una delle aree interessate dal concorso «Oasi d'arte- Art's Oasis». 

Informazioni utili 
«Oasi d'arte- Art's Oasis». Ente banditore: Comune di Petrosino (Trapani), con il patrocinio della Regione siciliana. Data di consegna: 30 settembre 2014. Informazioni e consegna materiali: Comune di Petrosino, Piazza della Repubblica -91020 Petrosino (Trapani), oasidarte@gmail.com.