ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

sabato 30 luglio 2016

Estate 2016, da Marylin a Barbie: in mostra le grandi icone del Novecento

Le abitudini degli italiani stanno cambiando. L’estate non scatena più la fuga generale dai grandi centri urbani e sono molte le persone che, alle spiagge assolate e al refrigerio delle montagne, preferiscono le città d’arte. Sono, poi, tanti anche quelli che, complice la vacanza e i viaggi, decidono di regalarsi qualche ora di serenità e di bellezza nella quiete di un museo, lontano dal vicino d’ombrellone un po’ troppo rumoroso o perché stanchi delle camminate tra la natura incontaminata. Ecco così che sono molte le mostre italiane che rimarranno aperte anche il giorno di ferragosto. Tra queste c'è la rassegna che Torino dedica al mito di Marilyn Monroe, icona senza tempo di bellezza e sensualità della quale Palazzo Madama commemora il novantesimo anniversario dalla nascita con l'esposizione di centocinquanta oggetti personali, molti dei quali provenienti dalla sua casa di 5th Helena Drive in Brentwood e facenti parte della collezione di Ted Stampfer.
Vestiti, accessori, articoli di bellezza, documenti, lettere, appunti su quaderni, contratti cinematografici, oggetti di scena come il famoso abito bianco del film «Quando la moglie è in vacanza», spezzoni di film e una selezione delle meravigliose fotografie scattate, tra gli altri, da Milton Greene, Alfred Eisenstaedt, George Barris e Bernt Stern ricostruiscono la storia della diva americana. Il pubblico viene così a conoscere il volto più intimo di Marilyn: la determinazione con cui ha costruito il suo personaggio pubblico, la fragilità insospettabile, ma anche la forza con cui affermava il suo potere contrattuale con le case di produzione.
Torino celebra, in questi mesi estivi, anche un’altra icona senza tempo: i Beatles. Il Mao – Museo d’arte orientale propone la mostra «Nothing is real», per la curatela di Luca Beatrice, che racconta il rapporto tra i quattro musicisti di Liverpool e l’Oriente, da loro scoperto nel 1968, durante un viaggio in India. Centinaia di oggetti provenienti da diversi ambiti e linguaggi dialogano con opere d’arte contemporanea in un ambiente ricco di stoffe, profumi e suoni.
Accanto a memorabilia beatlesiani si ritrovano esposte le fotografie indiane di Italo Bertolasi e di Pattie Boyd, le ceramiche tantriche di Ettore Sottsass, opere d'arte di Alighiero Boetti, Aldo Mondino, Luigi Ontani e Francesco Clemente, oltre a guide, mappe e manuali di viaggio utili a raggiungere l’India senza soldi e alle prime edizioni di libri storici, come «Siddharta», «Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta», «La lunga strada per Katmandu».
Rende omaggio a un’icona del Novecento anche la mostra estiva dell’Amo – Arena Museo Opera di Verona, prima tappa di un tour mondiale che toccherà Atene, New York, Parigi e Città del Messico. Sotto i riflettori vi sono la straordinaria carriera artistica e la vita di Maria Callas, anzi di Anna Maria Cecilia Sophia Kalogeropoulous, raccontate attraverso oltre duecento reperti tra filmati d’epoca, interviste, foto e oggetti appartenuti all’artista, in un percorso valorizzato dall’ascolto di arie liriche come la celebre «Vissi d’arte» e la cavatina di Rosina nel «Barbiere di Siviglia».
Dalla musica lirica si passa a quella pop con la mostra che il Mambo di Bologna dedica a David Bowie, unica tappa italiana di un tour mondiale che ha già toccato Chicago, San Paolo, Toronto, Parigi, Berlino, Melbourne e Groningen.
Il percorso espositivo, curato da Victoria Broackes e Geoffrey Marsh del Victoria & Albert Museum, si sviluppa attraverso contenuti multimediali che conducono il visitatore all’interno del processo creativo del Duca Bianco e descrivono come il suo lavoro abbia canalizzato i più ampi movimenti nell’ambito dell’arte, del design, del teatro e della cultura contemporanea.
Tra i pezzi esposti si segnalano l'outfit originale di «Ziggy Stardust» (1972) disegnato da Freddie Burretti, la tuta a righe di Kansai Yamamoto per il tour di Aladdin Sane (1973) e  il cappotto Union Jack realizzato da Alexander McQueen per la copertina dell’album «Earthling» (1997), vere e proprie preziosità che si vanno ad aggiungere ai modellini delle prime scenografie, ai poster grafici e alle foto di grandi nomi come Helmut Newton e Terry O’Neill.
In contemporanea con il Vittoriano di Roma e il Louvre di Parigi, Bologna celebra questa estate anche il mito di Barbie, molto di più di una bambola, una vera e propria icona globale che dal giorno del suo debutto, cinquantasette anni fa, è riuscita ad abbattere ogni frontiera linguistica, culturale, sociologica e antropologica, diventando uno dei giocattoli preferiti di tante bambine di tutto il mondo. Barbie è andata sulla luna, è diventata ambasciatrice Unicef, ha indossato un miliardo di abiti per 980 milioni di metri di stoffa e soprattutto si è trasformata con il passare delle mode. Da Moschino a Ferrè, da Versace a Dior, da Gucci a Calvin Klein, da Vivienne Westwood a Prada, fino a The Blonds e Louboutin: sono molti gli stilisti che hanno vestito la bambola della Mattel. Da Elizabeth Taylor a Audrey Hepburn, Grace Kelly e Marilyn Monroe sono altrettanto numerose le dive del cinema con le quali lo stile di Barbie si è confrontato.

Didascalie delle immagini 
[fig. 1] Marilyn Monroe’s in una foto di Milton Greene. Copyright Ted Stampfer; [fig. 2] Cover di Lp: Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band,1967, Parlophone, Capitol Records, Emi,Uk; [fig. 3] Jerry Tiffany, Ritratto fotografico di Maria Callas, New York, 1958. Collezione Ilario Tamassia; [fig. 4] Cecil Beaton, Maria Callas, 1956. © Camera Press / Contrasto; [figg. 5] «David Bowie is» al Mambo di Bologna. Veduta della mostra; [fig. 6] Barbie, modello Superstar, 1977 © Mattel Inc.; 

Informazioni utili 

Marilyn Monroe. La donna oltre il mito. Palazzo Madama, piazza Castello - Torino. Orari: tutti i giorni, ore 11.00-19.00; chiuso il martedì; la biglietteria chiude un'ora prima. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 8,00, gratuito per i ragazzi fino ai 6 anni e per le altre categorie previste dalla legge; scuole € 5,00. Informazioni: tel. 011.4433501. Sito internet: www.palazzomadamatorino.it. Fino al 19 settembre 2016. 

Nothing is real. Quando i Beatles incontrarono l'Oriente. Mao - Museo d'arte orientale, via San Domenico, 11 - Torino. Orari: tutti i giorni, ore 11.00-19.00; chiuso il lunedì; la biglietteria chiude un'ora prima. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 8,00, gratuito fino ai 5 anni compiuti e abbonati Musei Torino Piemonte e Torino + Piemonte Card. Informazioni: tel. 011.4436927-8. Sito internet: www.maotorino.it. Fino al 2 ottobre 2016. 

Maria Callas. The Exhibition. Amo - Palazzo Forti,via Massalongo, 7 - Verona. Orari: lunedì, ore 14.30 – 19.30; martedì-domenica, ore  9.30 – 19.30 (il servizio di biglietteria termina un’ora prima della chiusura). Ingresso: intero € 13,00, ridotto € 11,00, gruppo € 10,00, ridotto scuole € 5,00 o € 3,00. Informazioni e prenotazioni: gruppi, tel. 045.8003524; singoli, tel. 848002008 e prenotazioni@mostracallas.it. Fino al 18 settembre 2016.

David Bowie Is. Mambo, via Don Giovanni Minzoni, 14 – Bologna. martedì-domenica e festivi, ore 10.00 - 19.00; giovedì, ore 10.00-23.00; chiuso il lunedì. Ingresso: http://www.vivaticket.it/ita/event/david-bowie-is/83123?idt=1732. Informazioni: tel. 051.6496611 o info@mambo-bologna.org. Sito internet: http://davidbowieis.it/. fino al 13 novembre 2016. 

Barbie. The icon. Palazzo Albergati, via Saragozza, 28 - Bologna. Orari: tutti i giorni, ore 10.00-20.00; la biglietteria chiude un'ora prima. Ingresso: intero € 13,00, ridotto € 11,00, ridotto universitari € 8,00, ridotto bambini e scuole € 5,00. Informazioni e prenotazioni: tel. 051.0301015 o www.ticket24ore.it/barbie. sito internet: www.palazzoalbergati.com. Fino al 2 ottobre 2016. 

venerdì 29 luglio 2016

«Facing Histories», Bologna commemora le vittime di Hiroshima e Nagasaki

Bologna non dimentica. La città felsinea commemora le vittime dell’olocausto atomico del 1945. A settantuno anni dall'evento, il Mambo ospita la mostra «Facing Histories» di Yumi Karasumaru, già esposta nel 2015 a Hiroshima, Kyoto e Tokyo.
La storia è conosciuta: il 6 agosto 1945 una bomba atomica venne sganciata dagli americani sulla città di Hiroshima, in Giappone. Tre giorni dopo Nagasaki venne colpita allo stesso modo. Le due città vennero quasi completamente distrutte e decine di migliaia di persone morirono istantaneamente. Moltissimi morirono in periodi successivi per gli effetti delle ferite e delle radiazioni e molti sopravvissuti patirono gravissime e irreversibili menomazioni.
Su questo avvenimento, fra i più traumatici del XX secolo, Yumi Karasumaru si è soffermata in più occasioni, a partire dalle serie «Atomic Series» del 1995 e «Modern Crimes» del 1999, fino ad eseguire nel 2015 un vastissimo ciclo di piccoli dipinti, dei quali al Mambo viene presentata una selezione. In questa serie l'artista riproduce metodicamente le immagini ricercate sulla stampa, nei filmati o in raccolte private, riferite a episodi di guerra, a scene di distruzione, a eventi politici, ma anche a vicende personali intrecciate alla tragedia collettiva.
Da sempre interessata alla memoria storica del suo paese d'origine e alle vicende drammatiche che l'hanno colpito, l’artista giapponese che da molti anni vive a Bologna, con il suo caratteristico stile pittorico, ci accompagna in un avvicinamento graduale allo shock delle immagini, il cui contenuto, apparentemente addolcito da colori luminosi e accattivanti, si rivela solo a un'osservazione ravvicinata. Le diverse sequenze si assemblano e ricombinano in veri e propri racconti visivi, in cui l'intermittente apparizione di ideogrammi lirici è un tentativo di ancorare alla parola poetica emozioni altrimenti indicibili.
L'inaugurazione della mostra è prevista nel giorno dell’anniversario dell’esplosione atomica di Hiroshima: sabato 6 agosto. Per l'occasione Yumi Karasumaru ha ideato la reading-performance «Facing Histories in Hiroshima». In questa azione l’artista combina le modalità espressive del teatro giapponese con quelle performative occidentali, così come nelle sue opere pittoriche la memoria della pittura tradizionale giapponese convive con la cultura pop nipponica. L’utilizzo scenico della sua voce limpida e suadente, accompagnata dalla musica di Enrico Serotti, produce una narrazione ipnotica che attinge dai testi poetici di autori sopravvissuti alla tragedia di Hiroshima.
La reading-performance inaugurale si svolge in concomitanza con «Il Sole di Hiroshima», la cerimonia delle lanterne galleggianti dedicata al ricordo delle vittime provocate dallo sgancio della bomba atomica. L’evento è organizzato da Nipponica, festival di cultura giapponese giunto alla dodicesima edizione, al fine di sostenere due differenti progetti di beneficenza, che coinvolgono realtà italiane e giapponesi. La cerimonia si tiene nel Parco del Cavaticcio, adiacente al Mambo, e sarà la stessa Yumi Karasumaru, con la sua performance ad accompagnare il pubblico dalla mostra all'esterno.
Per l’occasione verrà pubblicato un catalogo in edizione limitata a cinquecento copie con firma autografa dell’artista, che sarà in vendita al corrainiMAMbo artbookshop.

Informazioni utili 
«Facing Histories» di Yumi Karasumaru. Mambo, via Don Giovanni Minzoni, 14 – Bologna. martedì-domenica e festivi, ore 10.00 - 19.00; chiuso il lunedì. Ingresso: intero € 6,00, ridotto € 4,00. Informazioni: tel. 051.6496611 o info@mambo-bologna.org. Sito internet: http://studio-olga.com/yumikarasumaru/index.html (sito temporaneo).Dal 6 agosto al 16 ottobre 2016.

giovedì 28 luglio 2016

Nelle Cinque Terre risorge l’antico Podere Casa Lovara


È una storia antica, che affonda le proprio radici nel Medioevo, quella di Case Lovara a Punta Mesco, sul sentiero che collega Levanto a Monterosso, il primo borgo delle Cinque Terre. Risale, infatti, al 1379 la prima attestazione del toponimo Lovaria (Lovara), un sito occupato da vigneti lungo la «via de Armischo». È, invece, del 1662 il documento catastale che parla della presenza di un edificio su questo terreno; mentre data al censimento del 1806 la prova dell’esistenza di una contrada, la più orientale di Levanto, con ben sedici nuclei familiari e centosette residenti.
La comparsa di un casale contenente terre coltivate a vigna, uliveto, ficheto e bosco è, invece, della fine del Settecento. Quella dimora era l’attuale Casa Bianca di Podere Case Lovere, un’area composta da quarantacinque mila ettari e tre unità abitative inserita in una zona dal grande valore paesaggistico e culturale come il Parco nazionale delle Cinque Terre, sito di interesse comunitario e patrimonio Unesco, che il Fai – Fondo per l’ambiente italiano ha da poco restituito alla fruizione del pubblico, grazie a un primo restauro, sostenuto dalla Fondazione Zegna.
A picco sul mare cristallino delle Cinque Terre, questo luogo abitativo racconta anche la storia di un bel progetto di tutela ambientale andato in porto. L’area era, infatti, stata acquistata negli anni Novanta dall’immobiliare Fiascherino di Monza con l’intento di farne un insediamento di abitazioni turistiche raggiungibile da una strada carrozzabile, che avrebbe inevitabilmente devastato il promontorio. La legislazione in materia di tutela ambientale pose un veto al progetto e, con grande sensibilità sociale e civile, Adriano Piva, amministratore della società monzese, si rivolse al Fai – Fondo per l’ambiente italiano.
Prende il via così un lavoro controcorrente che ha l’obiettivo di riportare dopo vent’anni di abbandono l’uomo a Punta Mesco e di ricondurre alla sua funzione storica quell’area protetta che, grazie a un protocollo firmato tra vari enti nella giornata del 22 giugno 2013, diventa un sito pilota per la corretta gestione dell’opera in aree soggette a regolamentazione.
Per mettere a punto il progetto di recupero, che si propone di ripristinare la produzione agricola e di valorizzare le pratiche colturali tradizionali in un territorio impervio come quello ligure, il Fai – Fondo per l’ambiente italiano si è avvalso della collaborazione di due importanti istituzioni accademiche: l’Università di Firenze, che con il Dipartimento di gestione dei sistemi agrari alimentari e forestali ha studiato gli aspetti paesaggistici e ambientali e della biodiversità e il recupero delle pratiche agro-forestali tradizionali, e l’Università di Genova, che con il Dipartimento di scienze per l’architettura si è occupata del recupero conservativo dei manufatti rurali e degli edifici nonché della loro rifunzionalizzazione nel rispetto della particolarità del luogo, e con il Laboratorio di archeologia e storia ambientale ha supportato la progettazione attraverso indagini di storia ambientale che hanno permesso l’acquisizione di importanti informazioni sulla storia del paesaggio rurale del podere a partire dal XVII secolo a oggi.
Il Podere Case Lovara apre ora al pubblico dopo una prima fase di lavori incentrata sul restauro di due fabbricati -uno di fine Settecento, l’altro dei primi anni del Novecento- e sul recupero del terreno agricolo circostante, dove sono stati ripristinati una parte dei terrazzamenti originali (un quarto dei quasi due chilometri di muri a secco esistenti) e le colture caratteristiche -oliveto, orto e frutteto- che verranno coltivate secondo i principi dell’agricoltura biodinamica, a cui si aggiunge l’apicoltura.
A Punta Mesco il Fai – Fondo per l’ambiente italiano sta utilizzando tecnologie sostenibili, improntate al risparmio energetico e compatibili con il contesto paesaggistico e ambientale, che hanno richiesto un lungo e complesso approfondimento. «Qui –spiegano dagli uffici della fondazione milanese- la sfida è ancora più difficile e per la natura del luogo così isolato e per una diversa fruizione rispetto al passato: non più un piccolo nucleo di contadini ma i numerosi turisti che su quel sentiero passano ogni giorno. È stato, quindi, necessario definire un progetto che permettesse di essere il più possibile autonomi, sia per la produzione di energia sia per il consumo di acqua: la produzione da fonti rinnovabili arriva, infatti, al 60% del fabbisogno energetico, senza impattare sul paesaggio; l’acqua piovana viene immagazzinata con cisterne mentre le acque reflue sono depurate e riutilizzate per l’irrigazione e gli scarichi sanitari».
In questa prima fase, i visitatori troveranno spazi di accoglienza e avranno la possibilità di effettuare visite guidate sulla storia secolare dell’insediamento di Case Lovara e visitare una piccola mostra in Casa Rossa.
In futuro si provvederà al restauro di ulteriori muri a secco e al ripristino di un’area a vigneto, storicamente presente nel sito e si procederà al recupero della zona agricola, con l’incremento delle zone a orto e frutteto, e all’attivazione degli allevamenti. Verrà, inoltre, recuperata a uso foresteria-alloggio Casa Vecchia, trasformando così Podere Casa Lovara in un rifugio affacciato sul mare, un agriturismo -con un’attività ricettiva improntata alla sostenibilità sia economica che ambientale- dall’accoglienza semplice di una casa di contadini, che aiuti a percepire la vera anima del posto, un luogo rustico e severo, dove hanno vissuto duramente generazioni di agricoltori e cavapietre.

Informazioni utili
[fig. 1] Podere Case Lovara a Punta Mesco, vista aerea, foto di Davide Marcesini 2016 © Archivio FAI; [fig. 2] Podere Case Lovara a Punta Mesco, foto di Davide  Marcesini 2016 © Archivio FAI; [fig.3] Podere Case Lovara a Punta Mesco, panoramica, foto di Davide Marcesini  2016  © Archivio FAI; [fig. 4] Podere Case Lovara a Punta Mesco - posizionamento delle arnie, foto di Davide  Marcesini 2016 © Archivio FAI

Informazioni utili
Podere Case Lovara a Punta Mesco - Levanto (La Spezia). Orari:  da giugno ad agosto - mercoledì –domenica, ore 10.00-18.00 | settembre e ottobre, ore 10.00-15.30.  Ingresso: a sostegno delle attività del FAI è gradito un contributo di € 3,00 per la visita; diventando Amico Fai, con un contributo di € 10,00, si avrà in omaggio un biglietto di ingresso all’Abbazia di San Fruttuoso a Camogli. Informazioni: faimesco@fondoambiente.it

mercoledì 27 luglio 2016

Dalle icone di Hollywood alla luce di Barbieri: l’estate espositiva di Villa Manin

Ci sono leggende del muto come Charlie Chaplin e Mary Pickford, brillanti interpreti dei primi film sonori quali Marlene Dietrich e Cary Grant, miti del dopoguerra, da Marlon Brando a Sophia Loren, da Grace Kelly a Paul Newman. Ma «Hollywood Icons», la mostra allestita fino al prossimo 9 ottobre negli spazi di Villa Manin a Passariano, non è l’ennesimo omaggio ai divi dell’epoca d’oro di Hollywood. È, invece, un tributo a chi, dietro le quinte e con il suo lavoro silenzioso, ha contribuito a creare l’alone di leggenda che circonda tante icone cinematografiche del Novecento.
Foto storiche e materiali preziosi per un totale di oltre duecento stampe permettono così di rivivere il sogno di un mondo scomparso attraverso gli scatti di fotografi di scena e ritrattisti che hanno lavorato su importanti set, a partire da Eugenee Robert Richee, del quale rimangono memorabili alcuni scatti con Marlene Dietrich, Robert Coburn, autore delle più belle immagini di Rita Hayworth, e Bud Fraker, artefice della locandina di «Colazione da Tiffany».
Gli scatti in bianco e nero che compongono questa mostra, alla sua prima tappa di un tour mondiale, provengono dalla collezione realizzata da John Kobal, giornalista e scrittore, riconosciuto come uno dei più autorevoli esperti di storia del cinema, il cui libro «The Art of the Great Hollywood Portrait Photographers» è una vera e propria pietra miliare per gli esperti del settore.
Durante la sua vita, terminata prematuramente nel 1991 all’età di 51 anni, lo studioso ha raccolto numerosi cimeli fotografici. Ciò è stato possibile grazie ai suoi frequenti viaggi a New York e Los Angeles, all’epoca in cui era corrispondente americano della BBC per la trasmissione radiofonica «Movie Go Round», negli stessi anni che videro il fallimento dei principali studi cinematografici di Hollywood.
Non poteva esserci momento più propizio per un giovane interessato ad acquisire testimonianze del glorioso passato del cinema americano, del quale rimanevano milioni e milioni di immagini fotografiche realizzate da artisti dell’obiettivo che, con il loro operato veloce, efficiente e talvolta brillante, riuscirono a promuovere lo stile hollywoodiano in tutto il mondo.
Mentre gli studi gettavano letteralmente al macero gli archivi fotografici accumulati sin dall'inizio della produzione dei film, Kobal era lì per raccogliere quanto più poteva e caricarlo nella sua station wagon. Nacque così la sua eccezionale collezione hollywoodiana di ritratti originali d'epoca.
Parecchi anni più tardi, nel 1969, fu invece l'incontro casuale con George Hurrell, il più famoso ritrattista di Hollywood, a spingere Koban a rintracciare i fotografi di scena ancora in vita che l'industria del cinema aveva in gran parte lasciato in disparte. Di questi solo Hurrell aveva continuato a lavorare; altri, come Ted Allan, Laszlo Willinger e Clarence Sinclair Bull si erano oramai ritirati.
Attraverso le interviste, che erano la specialità di Kobal, egli ottenne in prima persona informazioni sulla produzione del glamour destinato a un consumo di massa. Molti dei fotografi accettarono di stampare ancora una volta le immagini dai loro negativi, che il giornalista nel frattempo aveva acquisito dagli studi di Hollywood. Il mondo perduto registrato nei negativi 8x10 fu così resuscitato con le nuove e scintillanti stampe all'argento, anch'esse esposte in questa occasione. La mostra, della quale rimarrà documentazione in un catalogo edito da Skira, propone, infine, anche una sezione dedicata alle immagini degli stessi fotografi, una riservata al dietro le quinte dei set fotografici e con alcuni ritratti dello stesso Koban insieme a tanti protagonisti dell'universo cinematografico da lui tanto amato.
In contemporanea Villa Manin ospita anche la mostra «Ersatz Lights. Case study #1 east west» di Olivo Barbieri (Carpi, Modena, 1954), con duecento opere fotografiche, realizzate tra il 1982 e il 2014, che documentano trent’anni di ricerca sulla luce artificiale e il suo rapporto alchemico con la realtà in diversi Paesi del mondo, dal Giappone alla Cina, dal Cairo a Singapore.
In esposizione c’è anche il progetto «Cinematopgraphy», che allinea ventuno fotografie a colori e in bianco e nero che hanno per soggetto il decadimento delle sale e degli edifici dei cinematografi.
Verrà, inoltre, proiettata per la prima volta l’opera cinematografica integrale del maestro, diciassette film realizzati tra il 1995-2015, dei quali verrà realizzato anche il primo catalogo a cura dell’editore Danilo Montanari.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1 ] Burt Lancaster and Ava Gardner, 1946, [fig. 2] 8 - Director Alfred Hitchcock, 1946; [fig. 3] 9 - Audrey Hepburn, 1954; [fig. 4] Olivo Barbieri, Lugo, Ravenna, 1982

Informazioni utili 
«Hollywood Icons» e «Ersatz Lights. Case study #1 east west». Villa Manin - Passariano (Udine). Orari: da martedì a domenica, ore 10.00-19.00; lunedì chiuso. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 8,00 (per over 65, under 18 e convenzioni), ridotto gruppi € 6,00 (minimo 15 persone), gratuito per bambini con età inferiore ai 6 anni, accompagnatori di disabili, giornalisti previo accredito alla e-mail info.@villamanin.it. Informazioni: tel 0432.821211 o www.villamanin.it. Fino al 9 ottobre 2016. 

martedì 26 luglio 2016

«Storie milanesi», Gianni Biondillo racconta Lalla Romano

Si arricchisce di un nuovo percorso il progetto «Storie milanesi», curato da Rosanna Pavoni per la Fondazione Adolfo Pini, con la collaborazione del Comune di Milano. Dallo scorso giugno la piattaforma digitale che mette a circuito quindici realtà tra case-museo, atelier d’artista e studi di architettura, offrendo al pubblico un volto inedito del capoluogo lombardo, ospita, infatti, un itinerario dedicato a Lalla Romano (Demonte – Cuneo, 1906-Milano, 2001) e alla sua residenza.
Al centro di questo nuovo percorso, corredato da un racconto di Gianni Biondillo, c’è il quartiere di Brera con la casa della scrittrice di origini piemontesi e con la Biblioteca nazionale Braidense, dove dal 2014 è presente una sala a lei intitolata, che accoglie, grazie al lavoro e alla dedizione di Antonio Ria, una parte di manoscritti, carteggi, volumi postillati, prime edizioni delle opere, dipinti, disegni, fotografie, e alcuni suoi mobili.
Donna appassionata e colta, vissuta tra Torino e Milano, Lalla Romano fu pittrice e scrittrice, ma anche insegnante, traduttrice, critica d’arte, amica, moglie e madre.
Grande interprete dell’identità e della cultura milanese del Dopoguerra, è stata allieva –su consiglio di Lionello Venturi, suo maestro all’università di Torino– della scuola di pittura di Felice Casorati.
Incoraggiata da Eugenio Montale, ha esordito, nel 1941, come poetessa con la raccolta di versi «Fiore», edita da Frassinelli.
Confortata dal sostegno di Elio Vittorini e Cesare Pavese (con cui era stata anche compagna di università e per il quale, durante la guerra, tradusse i «Trois contes» di Flaubert per i tipi di Einaudi), si è dedicata alla letteratura scrivendo numerosi romanzi, tra i quali il più conosciuto è «Le parole tra noi leggere», che gli è valso il Premio Strega nel 1969.
Critici come Carlo Bo, Italo Calvino e Pier Paolo Pasolini hanno indicato nei suoi scritti la ricerca della verità, evidenziando la struttura sperimentale della sua scrittura, in bilico tra classicità e modernità.
Lalla Romano squadernava nelle sue opere la sua esistenza, senza posa e senza sconti. La scrittrice amava dire: «per me scrivere è stato sempre cogliere, dal tessuto fitto e complesso della vita qualche immagine, dal rumore del mondo qualche nota, e circondarla di silenzio». Il suo vissuto personale e il suo rapporto con le persone erano le cornici che animavano la sua narrazione, certamente autobiografica, ma mai diaristica o troppo intima.
Lalla Romano era anche una donna seria, rigorosa, tenace e dal temperamento forte e temprato. Non era una che le mandava a dire. «Siccome non sono potente -affermava-, sono prepotente». Lo sapeva bene Giulio Einaudi che si vide recapitare una copia della prima silloge della scrittrice, «Fiore», con questa dedica: «a chi non ha mai voluto stampare questo libro». Nacque così l’amicizia e il lungo rapporto di collaborazione tra i due intellettuali, un rapporto che vide, negli anni, la stampa da parte di Einaudi di volumi come «La penombra che abbiamo attraversato», «Tetto Murato», «L'eterno presente. Conversazione con Antonio Ria», «Inseparabile», «In vacanza col buon samaritano, «Le lune di Hvar», «Nei mari estremi», «Nuovo romanzo di figure», «Un sogno del Nord» e «Dall'ombra».
Lalla Romano non amava la vita mondana: «ho scritto dei libri» –diceva con ironia– «ma non sono vissuta “da scrittrice”. Non ho neanche la classica fotografia con un gatto». L’autrice non disdegnava, però, di frequentare luoghi come il Blue Bar, la libreria di via Manzoni, la Scala di Milano, dove poteva incrociare pensieri e passioni con altri intellettuali del tempo come Vittorio Sereni, Gillo Dorfles o Ernesto Treccani, senza dimenticarsi mai di essere una donna come tante: madre, moglie e lavoratrice. Lalla Romano era, infatti, per molti solo e semplicemente Graziella Monti, «consorte di un impiegato di banca», come lei stessa scrisse nell’«Autodizionario degli scrittori italiani» a cura di Felice Piemontese, e insegnante alla scuola media «Arconati».
Questa vita avventurosa rivive ora grazie al progetto «Storie milanesi», uno strumento virtuale che, nella realtà, accompagna il viaggiatore in un percorso urbano inedito nei luoghi più simbolici di Milano, rivisti attraverso lo sguardo sensibile di cittadini che ci hanno lasciato un patrimonio di cultura, di saperi e di bellezza.
Franco Albini, Fausto e Giuseppe Bagatti Valsecchi, Renzo Bongiovanni Radice e Adolfo Pini, Antonio Boschi e Marieda Di Stefano, Achille Castiglioni, Alik Cavaliere, Vico Magistretti, Alessandro Manzoni, Francesco Messina, Nedda Necchi e Angelo Campiglio, Mario Negri, Gian Giacomo Poldi Pezzoli, Emilio Tadini ed Ernesto Treccani sono i personaggi che, attraverso i propri luoghi dell’abitare domestico e professionale, trovano voce nei racconti scritti da Gianni Biondillo, restituendo al visitatore il volto di una Milano inedita.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Lalla Romano, Autoritratto con veletta, 1938; [fig. 2] Lalla Romano con le sue allieve nella scuola Arconati di Milano, fine anni Quaranta; [fig. 3] Ritratto di Antonia Mulas per il libro Le metamorfosi di Lalla Romano (Einaudi, 1938); [fig. 4] Particolare della casa di Lalla Romano a Milano, in via Brera 17

Informazioni utili 
«Storie milanesi». Sito internet: www.storiemilanesi.org. Informazioni: Fondazione Adolfo Pini, corso Garibaldi, 2 - Milano, tel. 02.874502. Sito internet: www.fondazionepini.it.

lunedì 25 luglio 2016

Varese, l’allestimento del conte Panza torna a rivivere nella villa del Fai

Si respira l’aria di un tempo a Villa Panza, dove è stato da poco ripristinato l’allestimento originale delle collezioni raccolte, con passione e dedizione, dal conte Giuseppe Panza di Biumo nell’arco della sua vita. Era dal 2013 che la residenza varesina, oggi di proprietà del Fai –Fondo per l’ambiente italiano, non si presentava nella sua veste originaria.
I visitatori potranno così, per esempio, tornare ad ammirare le due sale della piccola galleria espositiva che custodisce sette importanti lavori di Ettore Spalletti, scultore e pittore di fama internazionale, esponente dell’area del riduzionismo e del colore unico.
Nella prima stanza, sulle pareti, si trovano due opere realizzate a impasto di colore su tavola, «Rosa Verticale» (1991) e «Tutto Tondo» (1989), che dialogano con altrettanti lavori a tronco di cono collocati sul pavimento, entrambi intitolati «Vaso» e datati rispettivamente 1988 e 1992. Nella seconda stanza si trovano, invece, le opera «Ali Grigio Neutro» (1988), «Vaso» (1989) e «Acquasantiera» (1986), in marmo statuario di Carrara e acqua. Le opere di Spalletti esposte -sculture e quadri coperti da uno strato di gesso colorato– richiamano alla mente i colori degli affreschi del Beato Angelico. Il lavoro dell’artista è completamente astratto, ma possiede un’intima relazione con l’ambiente in cui vive e con l’antica cultura mediterranea fatta di forme di elementare semplicità e colori come rosa, celeste, grigio chiaro, che richiamano alla mente le tonalità degli ulivi argentati, del mare e della luce primaverile.
Torna in Sala Spalletti, sopra il camino, anche «Wax n. 38» (1991), uno dei lavori a olio, cera e legno di Stuart Arends, le cui opere sono visibili anche in tutta l’ala sud al primo piano.
In questa parte della villa sono state anche riallestite le stanze tematiche dedicate a Phil Sims, Winston Roeth, Ruth Ann Fredenthal e Ford Beckman.
Hanno fatto ritorno al primo piano anche quattro superfici a olio e cera su tela di Allan Graham: 1x1 (1989), «See of Dreams» (1988), «Sky Reins» (1990) e «Equally Possibilitie-s Prevail» (1988). Mentre nella sala della veranda che precede i rustici sono state nuovamente collocate le opere «Blind from one side» (1993-1994), «Apology» (1993-1995), «60.000 tears» (1982-1990), «Rory» (1993), «For the return» (1991-1993) di Lawrence Carroll, artista australiano contemporaneo cantore dei margini metropolitani e del mondo invisibile della coscienza. I colori da lui usati sono bianchi, gialli, grigi; le sue opere sono macchie, superfici dipinte su tela attaccata a un supporto di legno, una cassa trovata in strada e adattata a divenire un quadro a tre dimensioni.
Grande rientro anche per Christiane Löhr, l’artista tedesca che nel 2012, a due anni di distanza dalla sua personale organizzata con Giuseppe Panza di Biumo, ha donato due sculture alla villa: «Tre cubi» (2010, 2005, 2010) e «Piccola elevazione, forma d’archi» (2010). Nel suo lavoro troviamo la poesia delle piccole cose, quelle che si possono scovare camminando tra i campi e che rivelano la nostra vera natura: siamo viventi come le erbe dei prati.
Saranno riallestite nell’ala sud anche le opere di Ford Beckman, artista che è stato recentemente ospite dl Vangi Sculpture Garden Museum di Shizuoka in Giappone con una mostra personale a cura di Germano Celant.
Il pubblico potrà, inoltre, ammirare le installazioni site-specific del progetto «Art in Nature», durato tre anni e concluso nel 2015. Si tratta delle opere «A tribute to the Carpinata Gallery» e Embrace» (2013) di Stuart Ian Frost e «The Slope» (2014) di Bob Verschueren, realizzate interamente con materiali naturali e in perfetta simbiosi con la vegetazione, le specie arboree e le geometrie del giardino, alle quali è accostato «Cupressus I» di Peter Randall-Page, un lavoro realizzato nel 2008 con granito ricavato da un masso erratico glaciale in Finlandia e caratterizzata da profonde incisioni con forme esagonali e pentagonali che rimandano alla geometria della natura.
Lungo il percorso espositivo, negli spazi delle Scuderie al piano terra, si potrà, inoltre, «New York, Novembre 8, 2001, I, II, III, IV», l’opera in cinque atti di Wim Wenders dedicata a Ground Zero V, entrata in collezione nel 2015. Negli stessi spazi sono ospitati anche «Varese Scrim 2013» di Robert Irwin e l’ambiente di luce realizzato nel 2013 da James Turrell appositamente per Villa Panza.
La visita alla villa offrirà, inoltre, l’opportunità di contemplare al centro del cortile d’onore l’opera «Cone of Water» di Meg Webster, che è stata esposta nella mostra «Natura naturans. Roxy Paine e Meg Webster (Opere dal 1982 al 2015)», appena conclusa.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Equally Possibilitie-s Prevail, Allan Graham. Foto di Arenaimmagini.it,2013. © FAI - Fondo Ambiente Italiano; [fig. 2] Ganzfeld Sight Unseen, James Turrell. © Florian Holzherr; [fig.3] Sala Spalletti, Foto di Arenaimmagini.it,2013 © FAI - Fondo Ambiente Italiano; [fig. 3] Tre cubi, Christiane Loehre. © Wolfgang Burat

Informazioni utili 
Villa e collezione Panza, piazzale Litta 1, Biumo - Varese. Orari: ore 10.00-18.00; la biglietteria chiude alle ore 17.15. Ingresso: villa senza Ganzfeld di Turrell - intero € 10,00; ridotto (ragazzi 4 - 14 anni) € 4,00; iscritti al Fai gratuito, studenti (15-26 anni) € 5,00, con carta dello studente (15-19 anni) € 3,00; famiglie (2 adulti + fino a 4 bambini) € 24,00 | ingresso al Ganzfeld di Turrell - intero, studenti e iscritti FAI € 3,00, ridotto (4-14 anni) gratuito se accompagnati dai genitori | Ingresso al solo parco intero €3,00; ridotto (ragazzi 4 – 14 anni) € 1,00; residenti nella città di Varese gratuito tutti i martedì. Informazioni: tel. 0332.283960 o faibiumo@fondoambiente.it. Sito web: www.villapanza.it.

giovedì 21 luglio 2016

Toscana, cinquant’anni di Teatro povero. A Monticchiello un nuovo «autodramma» sul tema dell’attesa

Compie cinquant’anni il Teatro Povero di Monticchiello, una fra le più longeve esperienze di teatro di ricerca italiane, nata nel 1967 nel cuore della Val d’Orcia, oggi Patrimonio mondiale dell’Umanità dell’Unesco. Dal 23 luglio al 14 agosto piazza della Commenda torna a trasformarsi in un palcoscenico sotto le stelle per il nuovo «autodramma» (il termine fu coniato da Giorgio Strehler), ideato e realizzato dai borghigiani di Monticchiello con l’intento di riflettere sulla propria storia, ma anche su questioni cruciali per l’intero Paese come la crisi economica, il consumismo, i rapporti giovani-vecchi e il ruolo delle donne nella società contemporanea.
Tutto iniziò «dal basso», in un piccolo centro senza un teatro, senza alcun grande regista o esperto a guidare il progetto e accadde mentre nel resto del mondo fervevano esperienze teatrali che dell’abbattimento del confine tra palcoscenico e vita avevano fatto il centro dell’indagine.
L’esperienza -vero e proprio rito vitale, poetico e di ispirazione- incontrò, negli anni, il favore di molti intellettuali ed addetti ai lavori come il regista Arnaldo Della Giovampaola, il professor Asor Rosa, il giornalista Mario Guidotti, che fu capo-ufficio stampa alla Camera dei deputati. E nelle ultime edizioni sono state ben oltre 4000 le presenze medie all’«autodramma», a conferma di un’esperienza di successo che non si esaurisce con l’appuntamento estivo: «alle spalle di ogni spettacolo -raccontano gli organizzatori- vi è, infatti, un lungo percorso partecipativo: da gennaio iniziano le assemblee pubbliche, aperte a chiunque desideri collaborare oltreché ai membri della compagnia. Si comincia così a raccogliere spunti e riflessioni fino ad arrivare ai temi ritenuti urgenti per l’anno in corso. Da qui parte la discussione collettiva che porta al soggetto e, poi, al copione e alle prove».
Il filo conduttore del nuovo spettacolo -che vede ancora una volta alla regia Andrea Cresti e al quale prendono parte anche tre profughi del Gambia, ospiti del paese dal novembre scorso- si snoda e si sviluppa intorno al tema di un «assedio». Tante le domande che i borghigiani di Monticchiello si pongono e ci pongono: il nemico è dentro o è fuori? Vive meglio chi difende, pur con fatica, uno stile di vita più a misura d’uomo o chi abita posti in cui non mancano i servizi pensati per massimizzare il profitto invece che il benessere? La paura di disperdersi non nasconde forse anche il desiderio di partire, di vivere e reinventarsi, di incontrare l'altro e l'altrove, la possibilità? E se mai fosse: cosa sarà indispensabile portarsi dietro? A cosa non si vuole rinunciare?
In «Notte di attesa», questo il titolo dello spettacolo, si riflette, dunque, sul concetto di dentro e fuori, ovvero sull’essere contemporaneamente nel mondo e fuori di esso, ma su come il teatro sia stato e sia ancora oggi uno strumento per esistere e resistere e, tra una riflessione e l’altra, le parole dialogano con la bellezza di uno scenario naturale fatto delle pietre e delle facciate delle case, degli alti statuari cipressi, delle slanciate mura duecentesche della chiesa.
In occasione dello speciale anniversario e nei giorni di rappresentazione del nuovo spettacolo, il paese ospiterà anche, per le sue vie e piazze, una mostra sulla storia del Teatro povero con materiale afferente alla sua cultura materiale, comprendente video documentari, migliaia di fotografie di volti, posture, scene di vita quotidiana, manifesti di tutti gli spettacoli, tra i quali spicca la lunga serie curata da Alfredo De Santis, uno dei maestri della grafica italiana del secondo Novecento, ma anche costumi e oggetti di scena, particolarissimi elementi scenografici, pagine di copioni in costruzione, vissute, appuntate, cancellate e disegnate.
Fino al 31 agosto sarà, inoltre, visitabile nel borgo la mostra di sculture «Memorie», di Daniela Capaccioli, artista con cui il Teatro Povero condivide l’indagine sulla memoria, sul rapporto dialettico tra passato e presente. Camminando per Monticchiello il pubblico vedrà apparire personaggi, animali, oggetti, opere realizzate in rete metallica che, con la loro trasparenza, -racconta la scultrice- «si presentano allo spettatore come delle ombre di qualcosa che c'era, che ha lasciato la sua impronta, oppure come delle apparizioni di qualcosa che immaginiamo sarà». A chiudere il cartellone sarà, dal 7 al 9 ottobre, un convegno che approfondirà la storia del Teatro povero. Fra le presenze già confermate: Alberto Asor Rosa, intellettuale e studioso di letteratura, gli antropologi Pietro Clemente e Fabio Mugnaini, gli studiosi Marzia Pieri, Andrea Mancini e Gianpiero Giglioni.
Appuntamento tradizionale, prima o dopo lo spettacolo, anche quello con la Taverna di Bronzone, lo storico ristorante gestito dal Teatro Povero che offre la migliore tradizione culinaria locale, con piatti a chilometro zero tra cui i famosi pici, la pasta fatta a mano più conosciuta della Val d’Orcia.

Vedi anche
Monticchiello, il borgo toscano che diventa teatro 

Informazioni utili 
«Notte di attesa» - auto dramma del Teatro povero di Monticchiello. Piazza della Commenda – Monticchiello (Siena). Orari: tutti i giorni (tranne il 25 luglio e il 1° agosto), ore 21.30.. Ingresso: intero € 13,00, ridotto (per bambini fino a 12 anni) € 7,00. Prenotazioni on-line: http://teatropovero.it/prenotazione/. Il biglietto può essere ritirato solo il giorno dello spettacolo: - dalle 9 alle 19 presso la sede del Teatro povero, in Piazza Nuova 1; - dalle 19.30 fino alle 21.00 alla biglietteria (ingresso alla piazza). Si ricorda che dopo le ore 21.00 decade il diritto di prenotazione. Informazioni: tel. 0578.755118 o info@teatropovero.it. Sito internet: www.teatropovero.it. Dal 23 luglio al 14 agosto 2016.

mercoledì 20 luglio 2016

Friuli, prima mondiale per «La Gloria e Imeneo» di Vivaldi

È un appuntamento musicale di grande prestigio quello che nella serata di venerdì 22 luglio animerà gli scenografici ambienti di Villa Manin di Passariano a Codroipo. A partire dalle ore 21.15, la residenza friulana ospiterà, in concomitanza con la pubblicazione della partitura, la prima rappresentazione in epoca moderna della serenata «La Gloria e Imeneo, RV 687» di Antonio Vivaldi. L’esecuzione del concerto d’arie, nell’edizione critica di Alessandro Borin per Casa Ricordi, sarà a cura dell’Orchestra La Fenice di Venezia, diretta da Francesco Fanna.
Commissionata al compositore dall’ambasciatore francese a Venezia, Jacques-Vincent Languet comte de Gergy, in occasione delle nozze di Luigi XV con la principessa polacca Maria Leszczynska, l’opera fu eseguita per la prima volta la sera del 12 settembre 1725, durante una festa organizzata nel giardino dell’ambasciata a Venezia.
Quel raffinato clima di festa che animò il debutto operistico rivivrà a Codroipo, complice la regia di Elisabetta Brusa, che centrando l’attenzione sull’architettura della residenza friulana farà intravedere e percepire i festeggiamenti in corso all’interno.
Villa Manin si rivela un teatro appropriato per questo gioco di affinità e atmosfere rievocate. La dimora, che fu residenza dell’ultimo doge di Venezia (Ludovico Manin), presenta, infatti, molteplici echi francesi, a partire dagli affreschi di Louis Dorigny, in una delle sale di rappresentanza, che raffigurano le medesime allegorie richiamate dalla composizione di Antonio Vivaldi.
Queste sale, il cui parco è ispirato alla reggia di Versailles (diciotto ettari impreziositi da statue, colline artificiali, specchi d’acqua) furono, inoltre, cornice nel Settecento di una suntuosa cerimonia di nozze, tra la figlia del Re di Sassonia e il re di Napoli.
L’appuntamento, organizzato in collaborazione con la Fondazione Giorgio Cini di Venezia, permetterà al pubblico di riascoltare «La Gloria e Imeneo, RV 687», la seconda delle Serenate francesi, un gruppo di opere composte da Antonio Vivaldi dietro commissione di Jacques-Vincent Languet comte de Gergy, ed eseguite fra la metà degli anni Dieci e Venti del Settecento, per celebrare alcuni fra gli avvenimenti e le ricorrenze più significative inerenti alla storia della monarchia transalpina e, di riflesso, a quella dei suoi rappresentanti diplomatici residenti in Italia.
Oltre a «La Gloria e Imeneo, RV 687», per l’ambasciatore francese a Venezia il musicista italiano compose anche la serenata a tre voci «L’unione della Pace e di Marte, RV 694», il «Te Deum, RV 622» (entrambi perduti, ma eseguiti il 19 settembre 1727 per festeggiare la nascita delle due figlie gemelle di A differenza degli altri brani citati, di cui non è semplice ricostruire la genesi o la destinazione d’uso, possediamo ben due resoconti sulle circostanze in cui ebbe luogo la prima (e a quanto pare unica) esecuzione de a «La Gloria e Imeneo, RV 687». Il primo è un poscritto allegato a una lettera inviata da Languet al cardinale Filippo Antonio Gualterio pochi giorni dopo la festa, il 15 settembre 1725, mentre il secondo è una corrispondenza pubblicata sul «Mercure de France» nell’ottobre dello stesso anno. Grazie a questi documenti sappiamo che la serenata «si recitò nelle stanze della loggia posta in termine del Giardino» e fu «recitata da bravissimi Musici, e Cantatrici, quali con soavità della loro voce, quali novelli Orfei trassero [a] sé numero infinito di gondole, quale nascondea il mare istesso agl’occhij de’ riguardanti».
Antonio Vivaldi, che aveva da poco oltrepassato i quarantacinque anni di età, si trovava all’apice della propria carriera e poteva contare su una solida reputazione internazionale, tanto da essere definito «le plus habile compositeur qui soit à Venise».
Il testo poetico, di autore ignoto, è piuttosto convenzionale: Imeneo, il dio greco figlio di Apollo, e la personificazione allegorica della Gloria fanno a gara per decantare le virtù della coppia di sposi omaggiati nella serenata, prospettando loro le gioie imminenti delle nozze e quelle di là da venire, prodotte dai frutti della loro unione.

La musica di Antonio Vivaldi, che comprende alcuni brani tratti dalle sue più recenti produzioni operistiche, è invece un compendio di quanto di meglio il compositore scrisse durante la terza decade del secolo. Per la brevità dei recitativi, la cui funzione è quasi esclusivamente quella di preparare e collegare i numeri musicali, e per l’assoluta preminenza di questi ultimi, non di rado caratterizzati da una profonda integrazione fra la scrittura vocale e l’accompagnamento orchestrale, questa serenata può essere considerata a tutti gli effetti un «concerto di arie» (Konzertarien),vale a dire quella forma di spettacolo tanto deprecata dalla storiografia musicale ottocentesca quanto apprezzata dal moderno ascoltatore, nei confronti del quale mantiene inalterato tutto il suo fascino e il suo valore.
L’appuntamento rientra nel cartellone di Villa Manin Estate 2016, il cui programma di musica classica, ricco di concerti ad ingresso gratuito, è curato da Claudio Orazi, Sovrintendente del Teatro lirico di Cagliari e già Commissario straordinario della Fondazione Teatro Verdi di Trieste, dopo le esperienze pluriennali all’Arena Sferisterio di Macerata e all’Arena di Verona.

Informazioni utili 
Antonio Vivaldi. «La Gloria e Imeneo, RV 687», serenata per soprano, mezzosoprano ed orchestra. Con l’Orchestra La Fenice di Venezia, diretta da Francesco Fanna. Villa Manin di Passariano - Codroipo (Udine). Venerdì 22 luglio 2016, ore 21.15. Ingresso gratuito, fino ad esaurimento dei posti disponibili. Informazioni: info@villamanin.it o tel. 0432.821256. Sito internet: www.prolocoregionefvg.it