ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

lunedì 30 luglio 2012

Roma, la collezione della famiglia Ingrao in mostra permanente a Villa Torlonia

«Per un compleanno», «A Francesco e Xenia a ricordo di Gaeta, agosto 1978», «Prova d’artista per l’amico Ingrao»: sono, queste, le dediche, affettuose, vergate da Alberto Burri, il maestro delle plastiche combuste e dei sacchi di juta, su tre sue opere (la serigrafia «Oro e nero 6» del 1983, un collage in tempera e carta di giornale del 1978 e un «Cretto bianco» del 1977) donate all’amico Francesco Ingrao, medico specializzato in malattie polmonari e fratello di Pietro Ingrao, direttore del giornale «l’Unità» e, poi, autorevole dirigente del Pci, che, dal 1976 al 1979, rivestì anche il ruolo di presidente della Camera. Questi tre lavori fanno, ora, parte del percorso espositivo del Museo della Scuola romana, al Casino nobile di Villa Torlonia. Dallo scorso settembre, lo spazio museale, che in passato fu anche residenza di Benito Mussolini, accoglie, infatti, trentacinque tele della collezione Ingrao-Guina, donate dall’erede Mirjana Jovic, sorella di Ksenija Guina Ingrao, a Roma Capitale.
Mario Mafai, Mirko Basaldella, Corrado Cagli, Renato Guttuso, Luigi Bartolini, Mino Maccari, Nino Bertoletti, ma anche Giulio Turcato, Sebastian Matta, Pietro Consagra e, naturalmente, Alberto Burri sono gli artisti rappresentati in questa preziosa raccolta, che svela un aspetto particolare del collezionismo romano negli anni del Dopoguerra. Saltando la mediazione di gallerie e mercanti, affidandosi al rapporto personale con gli artisti, conosciuti per motivi professionali o per rapporti di consuetudine, talvolta di vera e propria amicizia, Francesco Ingrao raccoglie, con la collaborazione della moglie Ksenija, un centinaio di tele, schizzi, bozzetti, terracotte, ceramiche e opere grafiche, che sono un saggio della storia dell’arte del Novecento, ma anche –per usare le parole dell’assessore Dino Gasperini- il racconto di una «storia d’amore per l’arte e, andando oltre, di una filosofia che vede nell’opera dell’artista uno strumento di cura dell’anima».
A iniziare il giovane medico agli ambienti culturali romani fu, nei primi anni Cinquanta, il collega, collezionista e scultore Moroello Morellini, primario del reparto di sierologia del «Forlanini», dove Francesco Ingrao iniziò il suo tirocinio. Fra i due nacque subito un rapporto di stima e amicizia molto intenso, favorito dalla comunanza di interessi professionali e da affinità caratteriali e politiche. A cementare il loro rapporto fu la condivisione di uno studio privato a Roma, in piazza Pasquale Paoli. Qui, forse su consiglio di Amerigo Terenzi, amministratore del quotidiano «l’Unità», venivano molti artisti «squattrinati». I due medici prestavano loro (naturalmente gratis) le necessarie cure, e, andando ben oltre la missione professionale, o forse solo svolgendola in modo diverso, tentavano di aiutarli a vendere le loro opere a pazienti più facoltosi, esponendole nello studio stesso. Un’opera di solidarietà, questa, che il più giovane dei due continuò, partecipando alle attività dell’Isa, l’Istituto di solidarietà artistica, fondato nel 1948 con l’intento di sostenere gli artisti in difficoltà economica, fornendo loro gratuitamente consulenze mediche.
In questi stessi anni, Moroello Morellini e Francesco Ingrao, con le rispettive moglie, frequentarono assiduamente anche alcuni dei luoghi più vitali della scena artistica romana, come la celebre trattoria dei fratelli Menghi, in via Flaminia (alla quale Ugo Pirro dedicherà un delizioso libro intitolato «La trattoria dei pittori»), ma anche villa Massimo, dove lavoravano Marino Mazzacurati e Renato Guttuso, lo studio di Corrado Cagli all’Aventino e quello di via Margutta, dove era possibile vedere all’opera Pericle Fazzini e Giovanni Omiccioli. Spesso Moroello Morellini e Francesco Ingrao si ritrovavano anche a casa di Giuseppe Mazzullo, in via Sabazio, frequentata da diversi artisti, fra cui molti siciliani come Emilio Greco e Renato Guttuso.
Prese così avvio una collezione, lontana dalle logiche mercantilistiche di oggi, dal puro tornaconto economico che anima molte raccolte attuali. Una collezione che ha origine nella passione per l’arte e nell’interesse umano verso l’artista. Francesco Ingrao amava trascorre serate appassionate a cenare piacevolmente, a discutere di pittura e di politica, anche con chi, come Alberto Burri, la pensava diversamente. Era un uomo curioso, brillantemente intelligente, aperto alle novità, che, incurante delle posizioni del suo partito e «in anni anche di forte contrapposizione tra astratti e figurativi, tra sperimentazione e realismo, -scrive Claudia Terenzi, nel bel catalogo edito dalla romana Gangemi- non poneva alcuna condizione alle sue scelte».
Quella di Francesco Ingrao è, dunque, una collezione composita, con opere datate prevalentemente tra gli anni Cinquanta e Ottanta, con qualche eccezione che ci riporta nel periodo della Scuola romana. Una collezione dove la firma dell’artista è qualcosa di più di «un marchio di fabbrica». È un attestato di rispetto e di gratitudine, se non di affetto, come testimoniano le numerose dediche che appaiono in calce a molti lavori, donati, spesso, per occasioni intime: feste, vacanze, momenti di comunione.
Nel 1940, Basadella espresse la propria riconoscenza con il dono di una sua china su carta, raffigurante un nudo maschile, recante la scritta «Agli Ingrao con affetto, Mirko». Nel 1965, Corrado Cagli donò una litografia a pennarello dal titolo «Adamo», su cui vergò la dedica «A Francesco e a Xenia con gli auguri per il loro Capodanno 65».
Di poche parole, invece, Giulio Turcato, che omaggiò la famiglia di un mazzo di fiori dipinto e scrisse solo «Ingrao», con il timbro: «L’artistica di via del Babuino 24, angolo via Margutta». Mentre Renzo Vespignani, con la sua spiccata sensibilità, accompagnò il dono di un suo lavoro, un autoritratto, da versi scrissi sul retro, «Come leggero, come nuovo l’ospite di questa sera, diafana malinconia!», e dalla dedica «Prova d’autore, a Xenia, a Franco, affettuosamente».
Scorrono, poi, davanti agli occhi del visitatore tante altre opere, da una raffinata acquaforte acquerellata di Luigi Bartolini, dal titolo «3 ragazze a Fonte Maggiore» (1940), a qualche disegno di Renato Guttuso, come la suggestiva china «Sacra famiglia» (1946), da un piccolo e luminoso acquerello di Giovanni Omiccioli, una marina datata 1949, ad alcuni lavori di Sebastian Matta, tra i quali il pastello «Mitologia» (1980), in cui elementi zoomorfi e antropomorfi si mescolano con ironia a formare figurazioni fantastiche. Non manca, infine, un disegno di Mario Mafai, donato al medico dalla figlia Miriam, dopo le cure per una pleurite. Perché grazie lo si può dire in tanti modi. E Francesco Ingrao, per gli amici Ciccio, lo sapeva.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Francesco Ingrao, con la moglie Ksenija Guina Ingrao;[fig. 2] Renato Guttuso, «Sacra famiglia», 1946. Roma, Collezione Ingrao-Guina; [fig. 3] Giulio Turcato, «Senza titolo»,1972, acrilico e olio su tela. Roma, Collezione Ingrao-Guina;[fig. 4] Pietro Consagra,«Senza titolo», 196o, tempera su faesite. Roma, Collezione Ingrao-Guina; [fig. 5] Giovanni Omiccioli, «Senza titolo», 1949, acquerello e grafite su carta. Roma, Collezione Ingrao-Guina.

Informazioni utili
Collezione Ingrao. Musei di Villa Torlonia - Casino Nobile, via Nomentana, 70 - Roma. Orari: martedì-domenica, ore 9.00-19.00; chiuso il lunedì (la biglietteria chiude 45 minuti prima). Biglietti: Casino Nobile e Casina delle Civette - intero € 7,50, ridotto € 5,50; Casino Nobile - intero € 5,50,, ridotto € 4,50; gratuito per le categorie previste dalla tariffazione vigente. Catalogo: Gangemi editore, Roma. Informazioni: tel. 06.0608 (tutti i giorni, ore 9.00–21.00). Siti internet: www.museivillatorlonia.it o www.zetema.it


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